È la mattina del 17 maggio 1972, e la pistola puntata alle spalle del commissario Luigi Calabresi cambierà per sempre la storia italiana. Di lì a poco il nostro paese scivolerà in uno dei suoi periodi più bui, i cosiddetti "anni di piombo", "la notte della Repubblica". Quei due colpi di pistola però non cambiarono solo il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti. La storia dell'omicidio Calabresi è anche la storia di chi è rimasto dopo la morte di un commissario che era anche un marito e un padre. E di tutti quelli che hanno continuato a vivere dopo aver perso la persona amata durante la violenta stagione del terrorismo. Mario Calabresi, oggi giornalista di "Repubblica", racconta la storia e le storie di quanti sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo, l'esistenza delle "altre" vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto: c'è chi non ha avuto più la forza di ripartire, di sopportare la disattenzione pubblica, l'oblio collettivo; e c'è chi non ha mai smesso di lottare perché fosse rispettata la memoria e per non farsi inghiottire dai rimorsi. La storia della sua famiglia si intreccia così con quella di tanti altri (la figlia di Antonio Custra, di Luigi Marangoni o il figlio di Emilio Alessandrini) costretti all'improvviso ad affrontare, soli, una catastrofe privata, che deve appartenere a tutti noi.
Il luogo dove fu assassinato il commissario Calabresi il 17 maggio 1092: davanti a casa sua.
Pensavo che fosse allergia. Così ho comprato un collirio antistaminico. Ma gli occhi sono rimasti pieni di lacrime per tutte queste 124 paginette. Adesso so perché.
Non so se esista un premio per il senso di civiltà, di giustizia, per il sentimento umano: se esistesse, Mario Calabresi dovrebbe vincerlo. Se non altro, solo per questo libretto, breve, piccolo, e grandissimo.
Il commissario Luigi Calabresi, padre dell’autore di questo libro.
Se invece, il premio non esiste ancora, forse bisognerebbe dedicarglielo. Guardare avanti, camminare, impegnarsi per voltare pagina nel rispetto della memoria.
Senza paura e senza rabbia, Calabresi racconta e affronta tutto: il padre e la sua morte, la reazione, la vita a seguire, la famiglia, gli amici, il terrorismo, la politica, le dichiarazioni ufficiali, le vittime, i parenti delle vittime, gli assassini, le notizie, i giornali, i giornalisti, i processi, i giudici, le sentenze... Affronta, racconta, si confronta, scava: e ci offre un grande compendio di una fetta importante della storia nazionale degli ultimi quaranta anni.
Gian Maria Volonté in “Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli”, film documentario diretto da Elio Petri, realizzato pochi mesi dopo la morte di Pinelli, una ricostruzione che ironizza sulla tre versioni che la polizia forni sul “suicidio” dell’anarchico accusato della bomba a Piazza Fontana, ricostruite seguendo le diverse e contraddittorie indicazioni fornite dalla Questura, al fine di dimostrare come esse rendessero materialmente impossibile la caduta volontaria o accidentale dell'uomo dalla finestra.
Resulta casi imposible leer este libro (que no novela) sin emocionarse y que se te humedezcan los ojos en muchos de sus 16 capítulos. Tiene más mérito si cabe, ya que no se trata de un libro blando o lacrimógeno de esos de fáciles recursos que todos conocemos. No, lo logra desde pequeños detalles, desde una sencillez en su escritura que alcanza al lector.
Lo que comentaré no es espóiler, ya que son hechos que se cuentan en la primera página del libro, en el prólogo del traductor, etc. Lo interesante del libro no es el qué, sino el cómo. El autor quedó huérfano por el terrorismo que arrasó Italia en el final del siglo pasado.
Lo que más me ha gustado del libro es la capacidad del autor, de hablar del tema, de un tema tan espinoso y personal, apartando de su camino el resentimiento, el odio y el rencor. El tono general me ha resultado muy homogéneo, muy bueno.
Por contraposición con otros libros parecidos en la temática, no trata de idealizar la imagen del padre fallecido. No es una loa o una exaltación de la figura de Luigi Calabresi. El autor humaniza al padre asesinado y no trata de vestirlo de bondades y virtudes sobrenaturales.
Como decía al inicio, el tono contenido es lo que más me gustó. Creo que un mal escritor en su posición hubiera cargado las tintas y no le hubiera dado el enfoque que le da Calabresi, que por momentos intenta ser aséptico, aunque lógicamente no logra conseguirlo al completo.
Aunque por mi país no conociéramos el libro, decir que no se trata de una novedad editorial: se publicó el año pasado en España por Asteroide (que magnífica editorial, por cierto, cuantos aciertos va cosechando), pero ya llevaba más de 15 años de bagaje y miles y miles de ventas en su Italia natal: no me extraña. Es de las escasas ocasiones en que coincide calidad y superventas.
C’è una piccola aiuola che funge anche da spartitraffico tra un vasto parcheggio in superficie e una strada Via Cherubini, in una zona di Milano molto animata in prossimità di una via vivacissima e piuttosto chic Corso Vercelli, su quel triangolo verde sorge una targa a memoria di un 17 maggio del 1972 quando una mattina un commissario della Prefettura Luigi Calabresi, sposato e con due figli piccoli e un terzo in arrivo, uscito di casa per andare in questura venne ucciso con due colpi sparati alle spalle. Fu la vittima numero 14 degli anni di Piombo.
Chi lo ricorda, in questa testimonianza misurata e toccante, è oggi un uomo, un giornalista che 46 anni fa era un bambino di non poco più di due anni, destinato, per mano violenta altrui, a diventare orfano di padre.
Il fatto è noto: un ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli viene fermato dal Commissario Calabresi per la strage di Piazza Fontana; è interrogato nei locali della Questura di Milano in Via Fatebenefratelli, trattenuto anche illegalmente, è stremato, affamato, stanco provato dopo tre giorni di interrogatorio non facile, compie un volo di tre piani e si schianta sul pavimento cadendo da una finestra. Omicidio, suicidio, istigazione al suicidio, incidente? I processi sentenzieranno una caduta per malore. Fatto sta che il Commissario Calabresi quando Pinelli cadde non era presente nella stanza maledetta, 5 persone lo scagionano, lui stesso venne prosciolto per non aver commesso il fatto, ma nel frattempo era stato ucciso. Un uomo prosciolto dall’infamia che però non può godere della sua riconosciuta innocenza.
Perché proprio Calabresi? Perché proprio lui, il Commissario che aveva provato a cercare un dialogo con i manifestanti nei cortei, con i brigatisti nelle stanze della questura. Lo stesso Giuseppe Pinelli in un Natale di qualche anno prima aveva regalato a Calabresi un libro di poesie L’Antologia di Spoon River, tra loro c’era conoscenza non amicizia ma rispetto, forse un segno del destino e la ballata di un Commissario avrebbe potuto trovare un posto nell’antologia di Lee Masters.
Calabresi divenne il bersaglio di un linciaggio accanito dei mass media, della propaganda rossa, un capo espiatorio sul quale indirizzare sentimenti di odio contribuendo ad arroventare un clima già incandescente. Anche un lungo elenco di intellettuali (l’intellighenzia) (tra i quali lo scrittore Erri De Luca dice Mario Calabresi) firmò sull’Espresso un documento contro il commissario torturatore.
Penso che voltare pagina si possa e si debba fare, ma la prima cosa da ricordare è che ogni pagina ha due facciate e non ci si può preoccupare di leggerne una sola, quella dei terroristi o degli stragisti, bisogna preoccuparsi innanzitutto dell'altra: farsi carico delle vittime
E questo Mario Calabresi lo dice in maniera chiara esplicita, con fermezza ma senza alcun spirito di vendetta, come un dato di fatto, odioso, ma ineluttabile
Perché dice Mario ci sono le istanze dei diritti degli ex terroristi a rifarsi una vita, ad essere reinseriti perché hanno pagato (chi lo ha fatto) e ora hanno diritto a riprendere in mano la loro vita e a vivere come gli altri ma chiede anche un po’ di silenzio, stare in disparte perché dice il fine pena lo hanno applicato a noi
A loro è concessa una seconda opportunità di vita alle vittime, no nessun risarcimento perché la morte è un processo irreversibile.
Ora, per onestà di giudizio e per equilibrare dovrei, dovrò leggere la versione di Adriano Sofri considerato il mandante dell’omicidio il suo libro La notte che Pinelli lui ha potuto dare la sua versione, a Calabresi qualcuno silenziò per sempre la voce
Ultima nota sul titolo Spingendo la notte più in là è un titolo bellissimo ma è anche un verso di una poesia composta da Tonino Milite poeta e compagno della vedova Calabresi che farà da padre ai tre figli orfani.
Primo commento ho letto tanti libri di memorie sul terrorismo, da quello di patrizio peci a quello di francesca mambro, a quello di maria fida moro. questo di mario calabresi aggiunge dignità, quella che è stata tolta a lui, alla sua famiglia e a molte altre vittime del terrorismo per molti anni. ecco, la pacatezza dei toni, la serenità d'animo e la speranza nel presente oltre che nel futuro, mi hanno sopraffatto. è un libro sul passato, sulla memoria, sulla storia di un'italia che forse non c'è più, ma che non va dimenticata.
Secondo commento [24/12/2009] Mi sono fermata, già da parecchi giorni a dire il vero. Mi sono fermata leggendo le pagine che parlano dell'assassinio di Luigi Marangoni. Mi sono fermata sulla mano pietosa della moglie che gli ha chiuso gli occhi accarezzandolo. Mi sono fermata su quell'addio e non ho più avuto la forza di andare avanti.
[06/01/2010] Alla fine l'ho finito, per la seconda volta. anche questa volta la serenità d'animo e la pacatezza con cui Mario Calabresi ricostruisce la vita della sua famiglia e il dolore affrontato dopo l'uccisione del padre, sono quelle che stupiscono di più: il merito va soprattutto alla madre che ha saputo crescere lui e i suoi fratelli nella speranza del futuro e non nell'odio e nel desiderio di vendetta. Durante questa seconda lettura però ho potuto soffermarmi, con più attenzione, su ogni singola vittima del terrorismo cui l'autore fa riferimento. La volta precedente ero più concentrata sulla storia dell'omicidio del commissario Calabresi e sulla ricostruzione di quegli eventi; per questo, questa volta, voglio ricordare tutte quelle persone, che sono state vittime degli anni di piombo e della follia del terrorismo, con le parole di Corrado Augias: Uccisi perché? Per il sogno di un gruppo di esaltati che giocavano a fare la rivoluzione, si illudevano di essere spiriti eletti, anime belle votate a una nobile utopia senza rendersi conto che i veri "figli del popolo", come li chiamava Pasolini, stavano dall'altra parte, erano i bersagli della loro stupida follia.
Il commento che ritengo idoneo a questo libro sono le parole di Corrado Augias in "Repubblica": "La disparità di trattamento tra chi uccise e chi venne ucciso è irreparabile, continua negli anni aggravata dal fatto che chi allora uccise scrive memorie, viene intervistato dalla tivù, partecipa a qualche film, occupa posti di responsabilità, mentre alla vedova di un appuntato nessuno va a chiedere come vive da allora senza marito, se ci sono figli che hanno avuto un'infanzia da orfani, se il tempo trascorso ha chiuso le ferite, il rimpianto, il dolore."
Un libro necessario. Ho iniziato a leggerlo con quel tocco di curiosità morbosetta che si prova a entrare nelle famiglie delle persone che hanno vissuto una tragedia. La curiosità che genera la domanda-tipo "Cosa ha provato in quel momento?", poi ti vergogni. Perchè Mario Calabresi ha una dignità talmente adamantina da farti sembrare superfluo ogni commento alla lettura. Hanno ucciso suo padre e, oltre ad averlo ucciso, ne hanno infamato la vita e la memoria. E la menzogna, come la moneta cattiva, è molto più tenace della verità. Lui e la famiglia chiedono solo che venga ricordato e rispettato, e RICONOSCIUTO, e con lui le vittime del terrorismo. Ho letto diversi memoriali di terroristi (ex, pentiti, dissociati) e ricostruzioni degli anni di piombo. Vorrei poter dire che ho trovato la stessa coscienza, la stessa umanità, la stessa dignità che ho trovato in questo libro. Ma non è così. La differenza vera è che nei libri degli "ex" c'è sempre un IO che si afferma (oggi IO sono pentito, Io chiedo perdono, Io provo rimorso). Nel libro di Calabresi c'è sì il senso dell'offesa subita (offesa fisica, privazione, dolore), ma altresì un senso di responsabilità verso la collettività che fa venire le lacrime agli occhi per quanto lui lo dà per scontato!
Roma, 1972. Luigi Calabresi es asesinado durante lo más duro de los años de plomo italianos.
Salir de la noche es la historia de los silenciados, las víctimas que han de aprender a vivir con la ausencia perpetua del padre, el dolor y el duelo, la cicatriz constante del ausente.
Lo hace generándonos un malestar en el estómago, un nudo en la garganta que pugna por salir. Compartimos con él la frustración y la incomprensión de la muerte, de la ausencia, del hueco insustituible de su familiar asesinado.
Mario Calabresi esplora le ricadute personali e politiche del terrorismo, in un racconto toccante e molto personale. E inizia con i versi del poeta Tonino Milite, l’uomo che ha fatto da padre a Mario e ai suoi fratelli, l’uomo che gli ha “insegnato a pescare, usare la macchina fotografica, remare, nuotare, disegnare, riconoscere le stelle e i venti per far volare gli aquiloni, fare i castelli di sabbia e le piste per le biglie. Ma soprattutto a non mollare mai, a non dare nulla per scontato, a combattere per le cose che si amano”
Ma prima di tutto il libro è un viaggio nella memoria dell’omicidio del padre, il commissario di polizia Luigi Calabresi, ucciso il 17 maggio 1972, in seguito a una campagna di stampa che erroneamente lo accusò, condannandolo, della morte dell’ anarchico Pinelli , nel corso dell’indagine sulla strage di Piazza Fontana. “Spingendo la notte più in là “ è il percorso che segna una lunga elaborazione del lutto, quello della famiglia Calabresi ma anche quello di tutte le altre vittime, alcune delle quali viene data voce nel libro: famiglie distrutte dal terrorismo, di cui racconta i diversi modi di sopravvivere al dolore. Le vittime erano magistrati, medici, sindacalisti, accademici, politici, gente comune che non era mai stata nemica o in guerra con nessuno Attraverso le loro testimonianze Calabresi pone la questione della memoria e del ruolo dello Stato nei confronti delle vittime: la memoria non può essere una semplice celebrazione retorica. “Mentre tutto si sfascia trionfa la retorica, la forma, ci sono i funerali imponenti, le autorità in divisa, i corazzieri del Quirinale, il ministro dell'Interno in visita a casa e l'indignazione della politica che lancia moniti e promesse. Dopo un attimo restano poche cose, minime”
Invece ricordare è anche far rivivere le passioni, i progetti, le idee di chi è stato ucciso . Il dolore e il forte senso di intimità che affiora tra le pagine, è bilanciato dal desiderio di superare le divisioni, di non cadere nella trappola dell’odio, facendo leva invece sul senso di responsabilità e di redenzione, guardando avanti, scommettendo sulla vita e sul futuro Le tappe della sua vita sono narrate e lette ( l’ho ascoltato in Audible) con voce ferma e calma, usando un linguaggio semplice ma incisivo: ne emerge un racconto sobrio che evoca le difficoltà della sua vita di orfano, ma anche la forza della madre, che ha permesso alla famiglia di sfuggire al risentimento. Di Gemma, rimasta vedova con due figli piccoli e incinta di un terzo, ne esce un ritratto forte e delicato; mi ha profondamente colpito e commosso la sua capacità di trasmettere forza e serenità. Una grande donna ,un esempio di dignità coraggio
“Spingendo la notte più in là “ riassume il bisogno di andare avanti, di capire cosa era successo e perché, anche a costo di soffrire. Perché il terrorismo è comunque una sconfitta. Questo era il prezzo da pagare per liberarsi da ansie e paure e venire a patti con la sua storia, senza scontrarsi con il passato e senza mai dimenticare.
El terrorismo es un tema incómodo. En la teoría, todos lo repudiamos, pero luego llegan los matices ideológicos, y los matices de la identidad de las víctimas, y los matices... ¿y la violencia es matizable? La Historia está hecha de historias y, como éstas se pueden contar de muchas maneras, la Historia es también moldeable.
"Salir de la noche" define el terrorismo desde sus víctimas y sus familiares, y el autor tiene claro algo: una vez el muerto está muerto, la verdadera única forma de justicia es la verdad. Estas ansias de llegar a la narración cierta (ya sea de la vida o de la muerte) están en todas las familias de todas las víctimas del terrorismo, son un universal.
La verdad es que me esperaba algo así como una reflexión fenomenológica de lo que es que un terrorista mate a tu padre, y el libro solo contiene a un hijo (a varios, de hecho) contando su vida. Y me doy cuenta de que yo, en cierta manera, también exigía algo de las víctimas, como si tuvieran que ser gente de otra pasta solo por "haber tenido mala suerte". Buen libro para pensar sobre cómo nos relacionamos con esta parte sucia de la humanidad.
Ho acquistato questo libro dopo aver visto un’intervista a Mario Calabresi, che mi aveva molto colpito. Pacato, quieto, schivo, dignitoso. Forse, per chi quegli anni non ha vissuto, è difficile capire quanto questo senso della misura appaia oggi così prezioso. Si respirava un’aria ammorbata, ai tempi. Bastava dire “Beh, però, forse bisognerebbe riflettere un momento prima di …” per essere definiti “fascisti”. Per default durante le assemblee degli studenti al liceo venivi chiamato “compagno”, anche se “compagno” non eri e non volevi essere. Un semplice scherzo si trasformava in un problema, perché finiva comunque per assumere connotazioni politiche. Molti giravano con le spranghe dentro le borse di scuola. Me le ricordo quelle scritte sui muri: “Calabresi assassino”. Tappezzarono non solo Milano, con quelle parole. Si creò, deliberatamente, un’atmosfera di odio, che non poteva non sfociare nelle tante tragedie che poi, effettivamente, capitarono. Fu, a tutti gli effetti pratici, una dittatura quella che abbiamo subito, che obnubilò le menti e fece tacere qualsiasi ragione. Esattamente come il fascismo. Non vi è alcuna differenza, in questo senso, con buona pace di chi pensa che basti essere di “sinistra” per stare automaticamente dalla parte della ragione. Non è così. La ragione non sta da nessuna “parte”. Risiede, piuttosto, nella capacità di dialogare, comunicare e giungere ad una soluzione che sia soddisfacente per tutti. O, in via subordinata, meno penalizzante.
E questo libro ci racconta un pezzo di storia proprio con questo intento. Ha subito un’ingiustizia Mario Calabresi. E la ferita, checché ne dica, probabilmente non si chiuderà mai. Ma ci ha almeno provato a raccontarla senza andare sopra le righe, sostenendo comunque le sue ragioni e raccontando la sua personale esperienza. E, soprattutto, l’ha fatto senza l’arroganza di coloro che, dichiarati invece colpevoli dopo un regolare processo e non solo tramite slogan, hanno ormai vestito i panni dell’innocenza fatta persona. Camaleonti della vita, verso i quali è persino eccessivo provare disprezzo. L’indifferenza è più che sufficiente e meglio si attaglia all’infima dimensione della loro coscienza.
Non ci troverete un’esaustiva narrazione dei fatti, in queste note biografiche. Troppo complesso e ancora non del tutto chiaro è il concatenarsi di quei fatti. Ma sicuramente troverete tutti i riferimenti e i nomi che potranno guidarvi in una vostra personale ricerca se vorrete ricostruire gli eventi e farvene un’opinione indipendente. Il valore principale sta proprio qui: fornisce gli strumenti e i “blocchi di partenza” per chi, negli anni di piombo, era ancora un bambino o non era neppure nato. E li fornisce in un modo che fa venir voglia di approfondire e capire. In questo senso, il libro è assolutamente riuscito.
"Trovo che perpetrare le false accuse sia un insulto all'intelligenza e penso sia un cattivo servizio alla democrazia e alla convivenza civile" Se avete possibilità ascoltatelo su Storytel, letto da Mario Calabresi ❤️
Me ha encantado. Es un relato claro, y a ratos abrumador, del dolor que deja el terrorismo en los que se quedan vivos cuando la muerte les toca de cerca. Merece mucho la pena leerlo.
Piazza Fontana, 1969, è una cicatrice tatuata nella memoria collettiva del nostro paese, al solo nominarla ci ricorda un prima, ma soprattutto un dopo che ha seminato dolori e paure sconvolgendo la vita di molti. Il mentre ha aperto una ferita investendo sin da subito il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli e il commissario Luigi Calabresi (ucciso nel 1972), due nomi fatalmente indivisibili.
Non so come l'avrei pensata in quegli anni, con quegli umori attorno, posso solo dire come la penso oggi: non credo al Calabresi colpevole, così come non credo al Pinelli suicida. La verità è racchiusa tra le coscienze di chi era nella stanza di quel quarto piano della questura di Milano.
Comunque sia, Piazza Fontana è solo l'inizio per Mario Calabresi. Classe 1970, figlio di Luigi, è l'autore di questo piccolo libricino che racchiude l'esperienza di un bambino-ragazzo-uomo e familiare di una vittima del terrorismo, abbracciando anche quella di altre famiglie a loro volta vittime per lo stesso motivo. Lui - loro - ha dovuto convivere con la tragedia e i suoi fantasmi giorno dopo giorno. Un'esperienza certamente non voluta, capitata improvvisamente, dolorosa e sottovalutata da uno Stato che per moltissimi anni non ha saputo intuirne le reali conseguenze.
Leggendo queste pagine, la sensazione che se ne ricava è che Mario abbia saputo guardare avanti con grande umanità e intelligenza, coltivando l'importanza della memoria attraverso interviste, foto, articoli di giornale ma senza restarne invischiato attraverso l'odio. Anzi, l'odio è un sentimento che non compare mai nelle sue frasi e nei suoi pensieri, veicolati per lo più da una sensibilità a tutto campo difficile da sostenere se non si è sereni dentro.
Stavo per iniziare a leggere La crepa e la luce di Gemma Calabresi Milite quando MoglieRiccia mi ha chiesto se avessi già affrontato Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi. Ho scosso il capo quasi imbarazzato (ho amato e amo ogni pagina scritta da Calabresi, newsletter incluse) rendendomi conto che me ne era mancato il coraggio. Ho rimediato, con il cuore che si stracciava pagina dopo pagina e un senso di incomprensione che mi macchiava il respiro: come si può restare così profondamente umani e attaccati alla vita quando gli eventi ti hanno portato via tutto in tenerissima età? Come si fa a mantenere fermezza e lucidità quando chi ha ucciso tuo padre pontifica dalle pagine di un giornale, e non cedere ad una rabbia sorda ma mantenere gli occhi spalancati sulla vita?
Me lo sono domandato durante la lettura di ogni pagina di Spingendo la notte più in là, intuendo – ma adesso mi accorgo di quanto fosse palese – quale potesse essere una risposta.
La crepa e la luce ha reso tutto più chiaro, e non vuole essere uno sciocco gioco di parole. Davvero, la Luce che emerge dalle pagine, dai ricordi, dall’esperienza di Gemma Calabresi Milite ha reso tutto evidente, ma comunque non meno doloroso.
Io non so come si misuri la strada del perdono, prego di non doverlo mai scoprire se non per le piccole fatiche che sempre ci portiamo dentro. Credo però di poter lontanamente intuire da dove nasca: da una preghiera, da un abbraccio, da una presenza, dalla volontà di credere che davvero siamo stati fatti per essere felici.
The Years of Lead, as the period of civil unrest during the late 60's and 70's were called in Italy, was a time of corruption and protest. Unfortunately many people were killed in a struggle that almost crossed the line into an ideological civil war. Neither extreme, Communists or Fascists, were allowed to run for government regardless of the ardent supporters on each side, this naturally led to discontent and crime. Mario Calabresi tries to bring the humanity and the emotion of growing up as the son of one of the first victims of this attrocity, but undoubtedly he is extremely biased against the Red Brigades who killed his father. He repeatedly accuses them of all the violence during these years and only brushes over mentions of the Fascist and Police brutalities committed around the same time. While his account is heartfelt, I couldn't help but feel as if his mother's lesson of love for others could never be erased from his suconscious, and not matter how hard he tries he cannot write about his own life without being accusatory.
Yes the Red Brigades did kill many innocent people, but you cannot ignore the Fascist or Police crimes, and you need to be willing to forgive people who have recognized their errors.
E' difficile recensire questo libro, è breve, ma intenso, è scritto in modo semplice, ma è talmente pregno di storia, di fatti e di emozioni che è come se fosse un macigno, è la storia di un uomo, ma infinitamente intrecciata con quella dei suoi familiari, dei suoi assassini, di chi l'ha stimato e di chi ha urlato per lui tutto il suo (immotivato) furore. Si parla del commissario Calabresi, ma anche degli anni più bui e tristi della storia d'Italia. Anni in cui una piccola minoranza di persone, di ragazzi, si è arrogata il diritto di emettere sentenze di morte verso persone colpevoli solo di fare il proprio lavoro o di trovarsi dall'altra parte di un'invisibile e stupida linea di pensiero. Si tratta di un omaggio ad un uomo che è stato una vittima, ma prima di questo era un marito, un padre, un figlio, un uomo con una vita intensa e che poteva dare ancora tanto al mondo. Mi ha colpito la pacatezza del racconto, la mancanza di rabbia, il dolore composto, l'accettazione per un evento tragico che però non è rassegnazione. Ci sono stralci interi che ho sottolineato e che spero di ricordarmi a lungo, perchè sono piccole isole di speranza in una storia tragica.
ho aspettato a lungo prima di leggere - combattuta tra la voglia di capire quegli anni in cui ero troppo piccola per avere una coscienza sociale e la sensazione sgradevole di andare a ficcare il naso in una questione privata. avevo paura di trovare un racconto morboso del dolore che sconquassa una famiglia e dei pre-giudizi di troppi "sentito dire" che si attaccano addosso. poi, sulla scia del bellissimo libro di benedetta tobagi, mi sono decisa e ho capito fin dalla prima pagina che nulla di ciò ci sarebbe stato e che i miei timori erano infondati.
Salir de la noche, de Mario Calabresi, es un libro que nace del dolor, pero que se niega a quedarse en él. Es un testimonio profundamente humano, escrito con una contención admirable, que busca luz en uno de los rincones más oscuros de la historia italiana: los años de plomo, una época en que la política se mezcló con el terror, y las ideas, con la sangre. Calabresi no habla desde la distancia, sino desde la herida. Su padre, Luigi Calabresi, fue un comisario de policía asesinado en 1972 por militantes de extrema izquierda —un crimen envuelto durante años en niebla ideológica, silencio y justificaciones. Mario tenía apenas dos años.
Este libro no es sólo un homenaje al padre caído. Es, sobre todo, un acto de memoria, una búsqueda del sentido en medio de la sinrazón. Lo que lo vuelve tan poderoso es su tono: sobrio, honesto, sin rencor. Calabresi no escribe para vengarse, ni para cargar contra un bando u otro. Escribe para entender cómo una sociedad entera puede perderse en el odio, cómo el lenguaje político puede deshumanizar al otro, cómo se puede matar "por una causa" y seguir creyendo que se es justo.
Pero Salir de la noche también es una reflexión sobre el perdón, la reconciliación y la necesidad de recuperar una voz limpia en medio del ruido ideológico. Calabresi entrevista a personas que vivieron la misma época desde trincheras opuestas. Se acerca incluso a los verdugos, no para justificarlos, sino para tratar de comprender qué los llevó al extremo. El coraje de este gesto es inmenso: no es una claudicación, sino un intento de romper el círculo vicioso del odio.
El estilo de Calabresi es claro, contenido, casi periodístico. Pero bajo esa claridad hay una emoción que late con fuerza. Cada página está escrita desde el corazón de alguien que ha vivido toda su vida bajo la sombra de una injusticia y que, sin embargo, no se deja consumir por ella. El título —Salir de la noche— no es una metáfora vacía: es un acto de voluntad, una afirmación de que la esperanza no es ingenuidad, sino resistencia.
Este libro no sólo es importante para quienes quieren entender la historia reciente de Italia, sino también para cualquier lector que se pregunte cómo se sana una herida colectiva, cómo se enfrenta el pasado sin repetirlo. Es un texto que nos habla del poder de la palabra frente a la violencia, del valor de la memoria frente al olvido, y del difícil, pero necesario, camino hacia la luz.
Leer Salir de la noche es exponerse a una verdad que duele, pero también a una generosidad moral que conmueve profundamente. No es un libro cómodo, ni debe serlo. Es un libro necesario.
Avevo già detto, parlando di "La fortuna non esiste", che Mario Calabresi scrive bene e sa comunicare al lettore, per cui nulla di nuovo su questo fronte.
"Spingendo la notte più in là", però, è molto di più di un libro scritto bene.
E' un libro per capire, un libro per conoscere, un libro per andare oltre le informazioni ufficiali e rendersi conto di cosa voglia dire essere le vittime "superstiti" di un omicidio.
Per chi non lo sapesse, Mario Calabresi è figlio del Commissario Calabresi, ucciso nel 1972 in pieni anni di piombo così come tante altre vittime del terrorismo: ed è a queste vittime che Calabresi dà voce, una voce vera, una voce che dovrebbe appartenere allo Stato e che invece troppo spesso viene soffocata.
L'autore parla con lucidità della propria esperienza, cercando di evitare qualunque forma di facili frasi ad effetto, e di come la sua famiglia abbia affrontato una vita senza un padre strappato dai suoi cari troppo giovane: non mancano i contatti con altre famiglie vittime, con persone che sono riuscite a reagire ed altre che vivono totalmente nell'ombra di ciò che le ha segnate.
E si badi bene che non stiamo parlando di politica: che un omicidio venga commesso a destra, sinistra o al centro o, ancora, venga commesso per motivi non politici, non conta; un omicidio è e resta tale: la soppressione di vite umane, il togliere un marito alla moglie, un padre ai figli, un nonno ai nipoti, né più, né meno.
Una cosa viene fuori in modo evidente, dando voce ad un dubbio che più volte mi sono posto anch'io: è vero che chi paga il proprio debito con la giustizia ha diritto di rifarsi una vita, ma siamo sicuri che tra crimine e pena scontata ci sia una proporzione soddisfacente? Siamo sicuri che, per garantire i diritti di chi ha "sbagliato" e (si spera) pagato, non ci scordiamo dei diritti di chi invece quel crimine l'ha subito?
Perché non bisogna mai scordarsi che per un omicida condannato ci sono ben più vittime di quelle ufficiali: ci sono quei superstiti che non potranno mai più avere indietro la loro vita e la cui colpa è, semplicemente, inesistente.
Qué libro tan necesario en un momento en que muchos parecen interesados en olvidar y pasar página de algunos de los episodios más oscuros de la historia. Esta obra nos recuerda que el dolor causado por el terrorismo perdura en quienes sobreviven a las víctimas, personas a menudo olvidadas por la sociedad y raramente rescatadas por la historia.
El libro nos confronta con la idea de que no podemos simplemente pasar página bajo el pretexto de una supuesta convivencia. Es imprescindible dotar a la historia de verdad, justicia y respeto hacia la memoria de estas personas, cuyas heridas, en muchos casos, el tiempo ha cerrado en falso, dejando profundos daños internos.
El dolor y las vivencias de esas personas merecen ser escuchadas y recordadas. Esta obra salda una deuda pendiente con todas ellas.
L'omicidio politico in democrazia e' un atto abbietto ma pubblico. L'attenzione delle persone e' catturata in prima istanza dalla personalita' di chi viene colpito. Si tralascia il dettaglio, che tale non e': chi viene ucciso ha una sua sfera privata fatta di consorti, figli, parenti, amici. Costoro portano con se' il dolore e i segni di queste ferite, spesso senza aver avuto la possibilita' di far udire la propria voce e valere le proprie ragioni. Calabresi riesce a restituire con dignita' le sensazioni dei familiari senza cadere mai nei toni del melodramma, pur rimarcando il nonsense di assassini assurti al ruolo di maestri di vita o di dottrina politica, e soprattutto conservando un'ammirevole misura di giudizio circa il comportamento che devono mantenere le istituzioni nel trattare gli ex-terroristi.
Un libro terrible sobre los años de plomo de Italia y el asesinato de Luigi Calabresi. Un repaso a las vivencias del terrorismo, la connivencia de muchos con él, la reinserción de los terroristas, incluso en la política, con las víctimas como unicos condenados a cadena perpetua con el asesinato de sus maridos, padres e hijos. Es Italia y está escrito a principios de los 2000, pero podría ser España en la actualidad.
Credo molto all'equazione "libro giusto al momento giusto", e forse qualche anno fa il mio giudizio su questo libro non sarebbe stato quello di oggi. Oggi questo libro mi ha fatto piangere come mai avevo pianto leggendo. Mi ha fatto riflettere, sul mio/nostro passato e sul mio/nostro presente. E mi ha fatto stare bene.
Passa una vela, spingendo la notte più in là E' un bel libro questo di Mario Calabresi. L'ho affrontato quasi in punta di piedi, sull'onda delle emozioni ritrovate, e rinnovate, qualche settimana fa, ne "La notte che Pinelli" di Adriano Sofri e, soprattutto, dopo l'incontro al Quirinale tra la vedova Pinelli e la vedova Calabresi. Mario Calabresi è figlio del commissario Luigi Calabresi, per il cui assassinio venne condannato come mandante proprio Adriano Sofri. Tre nomi inscindibili, dunque: Pinelli, Calabresi, Sofri. Accomunati da una data che è anche una lapide: 12 dicembre 1969. Strage di Piazza Fontana a Milano. Un pezzo di storia italiana avvolto da una cortina di mistero che probabilmente non sarà dissolto mai. Mario Calabresi ha voluto raccontare questo pezzo di storia attraverso gli occhi delle vittime, le mogli e i figli dei tanti agenti uccisi durante gli anni di piombo. Un breve stralcio. "Spararono a mio padre alle 9.15 mentre apriva la portiera della Cinquecento blu di mia madre. Era appena uscito di casa, dopo vari tentennamenti che lo avevano portato a rientrare per ben due volte, la prima per sistemarsi il ciuffo, la seconda per cambiarsi la cravatta. Era uscito con una cravatta rosa, se la sfilò per metterne una bianca, e a mamma che lo guardava scuotendo la testa e prendendolo in giro rispose: "Preferisco questa perché ha il colore della purezza". Lei richiuse la porta senza dare peso a quelle parole. Stava aspettando una donna, che doveva arrivare da un momento all'altro. Non l'aveva mai vista, ma da quel giorno sarebbe dovuta venire due volte alla settimana per aiutarla in casa: il lavoro era troppo con due bambini e un terzo in arrivo. Si presentò in ritardo, trafelata: "Signora, mi scusi, ma giù in strada c'è il finimondo: hanno sparato a un commissario". Mia madre, nel libro che ha scritto nel 1990, ha ricordato così quel momento: "Stavamo entrando in cucina, Paolo era nel box, ancora in pigiama, Mario girava attorno con i giocattoli. Mi sedetti. Ero impallidita. Sentii il feto, di tre mesi, fare un balzo dalla pancia allo stomaco. La donna corse a prendere un bicchiere d'acqua: "Signora, si sente male? Che le succede?" --------------------- Non c'è odio in questo racconto. La narrazione è pacata, serena. Dolorosamente serena. Ne esce fuori il ritratto di una famiglia quasi esemplare e di una madre -la signora Gemma Capra- dotata di una forza e di un coraggio fuori dal comune. Eppure, in questa storia tragicamente pubblica (specie per chi quegli anni ha vissuto), più di tutto mi hanno colpito due dettagli assolutamente privati che non conoscevo. L'autore dedica il libro alla moglie, Caterina. Caterina Ginzburg. Eh sì, alto lignaggio. Caterina è nipote sia della scrittrice Natalia (nonna) che di Carlo Ginzburg (zio), lo storico. Ebbene, per tornare a quell'intreccio inscindibile di nomi su cui ragionavo all'inizio, vorrei citare qui un altro libro. Autore: Carlo Ginzburg. Titolo: Il giudice e lo storico. Considerazioni in margine al processo Sofri. Dalla cui introduzione estraggo: "Scrivo queste pagine per due motivi. Il primo è personale. Conosco Adriano Sofri da più di trent'anni. E' uno dei miei amici più cari. Nell'estate del 1988 egli è stato accusato di aver spinto un uomo a ucciderne un altro. Sono assolutamente certo dell'infondatezza di quest'accusa".
Mario Calabresi mi conquistò quando lo vidi presentare "La fortuna non esiste": mi affascinò la sua positività che trovai coinvolgente e mi spinse a chiedermi quale presa potesse avere su una popolazione che ama perdutamente i perdenti e che vede in tralice invece i vincitori. Poi mi consigliarono questo, dicendomi che era addirittura più bello. Avevano tutte le ragioni. Calabresi si è dimostrato una seconda volta (per me) una persona ottima, soprattutto perchè non ha mai perso la positività, il coraggio e l'energia rimanendo una persona altamente equilibrata. Ha scritto un libro importante perchè racconta - molto bene - un pezzo della nostra storia su cui ci sono troppe ombre. E giustamente punta il dito sul fatto che noi non si sia fatto i conti col terrorismo e questo lede innanzi tutto alla nostra dignità ma soprattutto ci impedisce di crescere bene, di porre le basi per un futuro sano. Quello che però sovrasta su tutto, a mio personalissimo avviso, è il ritratto della madre di Calabresi per cui stento a trovare parole per descriverla. Da madre, spero di aver imparato anche solo un briciolo di quello che lei è riuscita ad insegnare ai suoi figli.
Pues no me ha gustado casi nada, la historia es interesante, de ahí el 2 y no el 1, pero el resto me parece un caos.
La forma de escribir el libro es caótica total, parece como si al autor se le fueran ocurriendo cosas y las fuera plasmando sin hilo argumental alguno, seguramente para un italiano que tiene en la cabeza los hechos y las razones sea fácil seguirlo, pero si no es así…
Además, tengo un problema con el protagonista, no tengo ninguna empatía con él, no me cae bien, y teniendo en cuenta lo que narra resulta difícil de creer.
Este mismo año leí “No digas nada”, debería ser parecido, ya que ambos parten de un hecho concreto para contar la historia del terrorismo en Italia y en Irlanda del norte respectivamente, pero qué diferencia, mientras uno es una obra maestra, este libro me ha costado terminarlo.
Desde mi punto de vista y habiendo vivido la época de los años de plomo italianos tan paralelos a los irlandeses y españoles de los que estos últimos vi de cerca y me tocaron sufrir pérdidas de personas próximas a mi círculo de amigos, creo que el autor lo que pretende en esta obra es mostrar la otra cara la moneda, el sufrimiento, la desolación, la ausencia del asesinado y hacer una catarsis de este hecho partiendo de dos opciones: el odio y el rencor o la serenidad sin aceptar los hechos pero no utilizar en su provecho ni en los políticos, a cualquiera de ambos, ni asesinos ni asesinados. Me ha traído a la memoria hechos y situaciones vividas que con el tiempo se han ido diluyendo, el dolor, la impotencia, la incredulidad y sobre todo el no comprender que con causar dolor se puede conseguir una ideología.
Un libro visto dalla parte delle vittime del terrorismo. Non è un libro, come si può pensare, sulla vittima assassinata ma sulle vittime che restano e che devono continuare a vivere, tutte le mogli, mariti, figli, genitori che sono stati ignorati con il passare del tempo oppure additati come "la moglie di..." "il figlio di". Un racconto molto dettagliato e il più possibile imparziale, e se si può dire quasi "sereno". Questo grazie anche alla madre di Mario che ha scelto di non far crescere i figli nell'odio, e anche a Mario stesso che, da ragazzo assetato di sapere, conoscere e farsi una propria opinione andava nelle biblioteche a rileggere gli articoli di giornale che riguardavano gli anni di piombo e suo padre, ucciso da Lotta continua il 17 maggio del 1972.