At the heart of Happiness, as Such is an absence—an abyss that pulls everyone to its brink—created by a family’s only son, Michele, who has fled from Italy to England to escape the dangers and threats of his radical political ties. This novel is part epistolary: his mother writes letters to him, nagging him; his sister Angelica writes, missing him; so does Mara, his former lover, telling him about the birth of her son who may be his own. Left to clean up Michele’s mess, his family and friends complain, commiserate, tease, and grieve, struggling valiantly with the small and large calamities of their interconnected lives.
Natalia Ginzburg’s most beloved book in Italy and one of her finest achievements, Happiness, as Such is an original, wise, raw, comic novel that cuts to the bone.
Natalia Ginzburg (née Levi) was an Italian author whose work explored family relationships, politics during and after the Fascist years and World War II, and philosophy. She wrote novels, short stories and essays, for which she received the Strega Prize and Bagutta Prize. Most of her works were also translated into English and published in the United Kingdom and United States. An activist, for a time in the 1930s she belonged to the Italian Communist Party. In 1983 she was elected to Parliament from Rome as an Independent.
Paolo Galetto: ritratto di Natalia Ginzburg (particolare).
Michele (Apicella) è il protagonista alter ego in cinque dei primi sei film di Nanni Moretti. Il libro della Ginzburg fu pubblicato nel 1973, e Moretti lo lesse poco dopo. Adesso Nanni è la voce dell’audiolibro di ‘Caro Michele’. Michele (Apicella) prende il cognome dalla mamma di Moretti, e il nome da… Chissà, magari proprio dal libro della Ginzburg? In fondo il Michele di Io sono un autarchico (1976) e due anni dopo di Ecce bombo, e quello del romanzo della Ginzburg potrebbero essere amici, hanno la stessa età, appartengono alla stessa generazione, hanno una simile visione del mondo, entrambi potrebbero dire, o meglio, frequentare gente che dice giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose, gente che sta cercando di rinnovare o soltanto afferrare la vita.
Io sono un autarchico (1976): la più che condivisibile reazione di Nanni-Michele quando gli dicono che Lina Wertmüller è stata invitata a insegnare cinema all’Università di Berkeley. Il film di Moretti è stato restaurato di recente, ma trattandosi di copia originale in Super8, il restauro non ha potuto fare miracoli (il sonoro è imbarazzante).
Molto probabilmente è la prima volta che nella letteratura italiana si parla di terrorismo. Invece nello stesso periodo al cinema ci furono: Mordi e fuggi di Dino Risi (1973), Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli (1977), Caro papà sempre di Dino Risi (1979), Tre fratelli di Francesco Rosi (1981), Colpire al cuore di Gianni Amelio (1983).
Il film omonimo di Mario Monicelli, del 1976. Nella foto Mara-Mariangela Melato e Osvaldo-Lou Castel, entrambi azzeccatissimi. Il maestro Mario non sbagliava mai il cast, gli ho visto scegliere ogni singolo volto, anche quelli delle comparse, anche quelli che non sarebbero mai andati in primo piano.
‘Caro Michele’ è diviso in una quarantina di capitoli, per lo più lettere, le più lunghe quelle della madre, le più corte quelle di Michele, che scrive dall’Inghilterra, dove fugge, o scappa, la polizia ha arrestato un paio delle persone che lui frequentava, ha sentito che era meglio cambiare aria. Tuttavia, il coinvolgimento politico di Michele è lasco, c’è, ma anche no, è più che altro una protesta, un’emozione. Un po’ come lo stesso Michele, che regala il titolo al romanzo, scrive qualche lettera, c’è ma è soprattutto assente: forse perché è sempre lontano dagli altri (mamma, sorelle, amici, padre che muore presto), forse perché tutti parlano sempre di lui, forse perché quel ‘caro’ prima del suo nome rimarca la distanza, sottolinea che la maggior parte delle lettere è a lui indirizzata. E muore indecifrato, rimane pressoché senza voce.
Il film di Monicelli raggruppa alcune [per me] mitiche divine attrici. Qui Delphine Seyrig che interpreta la madre di Michele.
Tra una lettera e l’altra ci sono brevi brani descrittivi che legano e collegano le varie epistole. Ma le versioni dello stesso fatto scritte dai diversi personaggi non vengono usate come testimonianze contrastanti (sull’esempio classico del Rashomon di Kurosawa), al contrario, ognuna conferma la precedente, non la smentisce. E tutte esprimono essenzialmente il punto di vista della narratrice, che però non alza mai la voce. La lettera non rompe il silenzio, non crea il ponte tra chi scrive e chi riceve, non costruisce comunicazione. La crisi della famiglia e la distanza d’incolmabile incomprensione tra genitori e figli testimonia come e quanto si sia spezzato il ‘lessico famigliare’ - c’è soprattutto silenzio, distanza, divisione, dispersione.
Qui, invece, Aurore Clement, che interpreta Angelica, la sorella maggiore di Michele. Mi fece venire i brividi quando la vidi per la prima volta, apparizione in ‘Lacombe Lucien’, il film di Louis Malle del 1974. Quando poi l’ho conosciuta, il tuffo al cuore si è ripetuto.
Sarà un caso che Michele sia anche il nome del protagonista de ‘Gli indifferenti’ di Alberto Moravia? Ginzburg ci parla di una borghesia che sembra aver perso la sua identità, e soprattutto i suoi obiettivi: i personaggi si muovono quali ‘indifferenti’ di una borghesia sterile e priva di valori, spaesata, che pare priva di sentimenti autentici, impegnata in amori e sentimenti stanchi e consunti.
Ed ecco Mara-Mariangela, personaggio che Monicelli mise al centro della narrazione, mentre nel romanzo è molto più marginale.
La madre è la persona che scrive di più, in quantità ed estensione, è quella che racconta di più. Il padre, invece, muore prima di scrivere anche solo una lettera. E con lui esce presto di scena non solo la figura paterna, ma anche l’unica forma di autorità: nelle pagine della Ginzburg i maschi valgono molto meno delle donne, sono le donne le vere protagoniste, anche se tutti i personaggi sembrano sostanzialmente immaturi, leggiadramente infantili. Il carattere maschile forse più sfaccettato è Osvaldo, l’amico di Michele, che tutti pensano essere omosessuale. Per quanto riguarda gli altri, di Michele s’è detto, il padre artista è un narciso, e il giornalista marito della sorella è essenzialmente un triste squallido funzionario di partico (comunista). Nel mondo della Ginzburg, le donne non hanno più accanto le figure maschili forti di una volta, che le rendevano sottomesse ma anche in qualche modo rassicurate, gli uomini si sono ripiegati e scoperti fragili, le donne hanno fatto un passo avanti, e si scoprono sole.
Per questo film, Monicelli vinse l’Orso d’argento a Berlino come miglior regista, e Mariangela Melato vinse il David di Donatello e il Nastro d’Argento come migliore attrice protagonista.
Il film di Monicelli sottolinea la distanza e l’assenza di Michele, che compare solo nei ricordi della madre dopo la sua morte, e spinge sul pedale della commedia all’italiana, incluse le sue convenzioni, trasformando il personaggio di Mara, interpretato dall’eccellente Mariangela Melato, nella vera protagonista del film, anche se accentuandone i tratti da macchietta. Natalia Ginzburg non fu coinvolta nella sceneggiatura e non seguì la lavorazione del film.
Ci si abitua a tutto quando non rimane più niente.
Ecce Bombo di Nanni Moretti, 1978. Il dialogo qui è così: Michele: Senti, che lavoro, me n'ero dimenticato, che lavoro fai? Cristina: Be', mi interesso di molte cose: cinema, teatro, fotografia, musica, leggo... Michele: Concretamente? Cristina [disorientata]: Non so cosa vuoi dire. Michele: Come non sai, cioè, che lavoro fai? Cristina: Nulla di preciso. Michele: Be', come campi? Cristina: Mah, te l'ho detto: giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose.
Today I found a little pink sticky note tucked away between some other documents while tidying a drawer, with a couple of lines scribbled on them. Typing them into the search engine they identified themselves as coming from your heartrending, mostly epistolary melancholy novel Caro Michele (Happiness, as such), which I read in 2021:
I have come to realize that the more you know someone the more you feel sorry for them.
He tried to comfort me in his own way, by pretending to be a cat, which he was very good at.
Is it you, speaking with the voice of the Pelican when he writes I'm sending you hugs and wish you happiness, if there is such a thing as happiness. I don’t believe there is, but other people do, and who am I to say they are wrong? Did you believe in the existence of happiness, Natalia?
You can get used to anything, where there is nothing else left.
Thank you for making me laugh through the tears, Natalia. Your wit is heartening and liberating. You understood the enduring shadow of grief hovering over one's life so well. One can sense it throbbing underneath your lucid, finely chiselled prose, even when you carefully avoided directly addressing it, or not spoke about it at all, depicting everyday life, love and memory with humour and an observant eye for joy. I believe you understood happiness as well as you did grief.
Ci vediamo cara Natalia. I'll get back to you soon.
The more of Natalia Ginzburg I read the more she seems to become a soulmate of Muriel Spark. They were born only two years apart but I don't think there's any question of one having influenced the other. They both have this rare talent for writing simple sentences which convey a complexity of thought. And both look at life slightly askew, with an arched eyebrow and a disarming incisive detachment.
One thing the tabloids understand is the animating power of having someone questionable to talk about. It can turn the most reticent of us into an unguarded chatterbox. And that's when hidden truths about ourselves can emerge. Mostly told through a series of letters between the various characters this is a prodigal son story with a twist. Michele might be gay, he might be the father of Mara's child, he might be a hunted political activist, he might be an artist. In truth he doesn't know who or what he is and neither do his family and friends. But the irony is he becomes a kind of cipher through which everyone else begins to achieve more definition both to themselves and in relation to each other. It's a novel that probes down into the subsoil beneath the sentimental constructions we place on our ties with family and friends. Another thoroughly enjoyable Ginzburg novel.
I have had a very strange reaction to this book. I have read it twice.
In my first read--while listening to the Audio read by Nanni Moretti (b. 1953), the film director, who must have had a sort of fascination with the Michele of the novel, since, it seems, the Michele of his films, is based on Ginzburg’s.-- I found it hilarious. Moretti’s monotonous reading, contributed to this effect.
The novel has an epistolary structure – various members of a family, in particular the mother, as well as a couple of other adjacent characters, write to this Michele who has left for Italy for London. Michele at times responds. But what made me laugh out loud, several times, were the characters. This is a dystopian family. It was mostly their attitude of hopeless defeatism, as well as their continuous indecisiveness – in action and in thought – that came across as a parody. In their utterances (written) they often state one thing, to follow it with the contrary statement. Often the plot at times seems a series of follies, which Moretti’s one-tone reading seemed to exaggerate the impression of hopelessness. The characters could also be framed. There is a woman who is perfect at everything and seems the only one capable of finding a solution to all the problems in which the others get stuck. There is librarian who, thanks to his protruding nose has earned himself the nickname of “Il Pelicano”, but who is comfortable enough to sign “Il Pelicano” in the one letter he writes in this volume. But the best character is the dreadful and utterly irritating Mara Castorelli, the young woman who with her baby stuck into a yellow plastic bag, appears to be a magnet for all possible troubles and accidents, but for which she blames everyone else. She is wonderful in all her horridness. She can take anything difficult that faces her in her stride – there is always a solution and she moves on, with her baby. Most admirable.
My reaction however perplexed me. Maybe it was not meant to be so funny. There is a death and there are hints to political persecution that the reader can guess stem from a--somewhat mild for we are not in the 20s and 30s--fascism. So, I watched the filmed version by Mario Monicelli , produced in 1976, or just three years after. This is not as funny. Overall, the film makes the whole story, situation and characters less nonsensical, although Mara Castorelli (Mariangela Melato) holds the impression I got in my first read; she is defiant with adversity and is a pest to others. The epistolary structure is, of course, gone, even if we see people writing letters, and therefore the experience of looking at the various facets of a prism that I always enjoy when reading a novel made out of letters. The political allusions are also emphasized.
And so, I read the book again, and listened to Moretti’s audio again. And possibly this repeated visit restored my impression for by then I took the absurdities with a pinch of salt. I focused more in the complex relationships that are woven through the exchanged writings, that for all their communicability do not succeed in connecting the writers and the recipients. And then I recognized Ginzburg’s art better.["br"]>["br"]>["br"]>["br"]>["br"]>["br"]>["br"]>["br"]>["br"]>["br"]>["br"]>
A cultivar a memória talvez sejamos tu, a tua mãe e tu, tu por temperamento, eu e talvez a tua mãe, por temperamento e, porque, na nossa vida presente, não existe nada que valha os lugares e os momentos que encontrámos ao longo do percurso. Enquanto eu os vivia e os guardava, esses momentos e esses lugares, eles tinham um esplendor extraordinário, mas porque eu sabia que tinha seria levado a recordá-los. - Osvaldo a Angelica
Ultimamente, sinto dificuldade em falar de livros que me marquem muito; no fundo, é “gosto porque sim”, mas isso seria uma deslealdade para os autores que devem ser partilhados. Esta edição da Relógio d’Água tem vários problemas (como já se tornou habitual) e um deles é a escolha do título, porque “caro” (traduzido à letra do italiano) em vez de “querido”, como nós diríamos, denota uma distância e uma cerimónia que não existe no original, tratando-se principalmente de cartas de uma mãe, de uma irmã e de uma ex-namorada a um jovem de 22 anos que, primeiro, vive num estúdio onde pinta e, mais tarde, parte inesperadamente para Inglaterra, num momento de conturbação política. Se aceitarem esta proposta de leitura, façam um favor a vocês mesmos e evitem a sinopse, já que a editora a inicia contando precisamente aquilo que acontece somente a 20 páginas do fim. Há um sadismo ou uma estupidez nesta tipo de promoção que nunca hei-de entender… Apesar de ser o ponto de convergência de todas as personagens, Michele é um protagonista invisível, pois tudo o que sabemos dele é através do que decide revelar em pequenas missivas, que pouco mais são que instruções, e através daquilo que é referido ou contado em segunda mão por aqueles que lhe são próximos. São as três mulheres da sua vida as verdadeiras donas desta obra: a ex-namorada Mara, a irmã Angelica e a mãe, Adriana. Mara é uma jovem desaustinada mas muito viva que se vê a braços com um recém-nascido que poderá ou não ser de Michele.
Não é que o dinheiro resolva alguma coisa da tua solidão, do teu destrambelho, da tua vadiagem, da tua tontice. Mas todos nós somos destrambelhados e tontos numa parte algures dentro de nós, e, algumas vezes, fortemente atraídos pela vadiagem e por respirar nada mais do que a própria solidão. -Angelica a Mara
Angelica tem a sua própria família e os seus problemas pessoais, mas serve de intermediária e mensageira, uma grande aliada do irmão.
Provavelmente, vai-se falando em voz alta e dando grandes risadas, para termos a certeza de não ter perdido a capacidade de pensar no presente e a faculdade de falar e rir alto. Mas mal nos calamos por instantes ouvimos o nosso silêncio. -Angelica a Mara
Por fim, Adriana. Adriana... Sempre que Adriana escreve, sempre que Adriana fala ou age invade-me uma tristeza indescritível.
Mas devo também dizer que perdemos naquele dia um tempo precioso. Podíamos ter-nos sentado e interrogado mutuamente sobre coisas essenciais. Teríamos sido provavelmente menos felizes, talvez tivéssemos sido, inclusivamente, infelicíssimos. Todavia eu agora recordaria aquele dia não como um dia feliz, mas como um dia verdadeiro e essencial para mim e para ti, destinado a iluminar a tua e a minha pessoa, que sempre trocaram palavras de natureza deteriorada e nunca palavras claras e necessárias, mas, pelo contrário, palavras cinzentas, formais, flutuantes e inúteis. - Adriana a Michele
Quando se divorcia do marido, este decide que pode abdicar das quatro filhas, mas não de Michele, que é portanto criado longe da mãe.
Nem sequer se interessava pelas tuas irmãs. Só se importava contigo. E o seu afecto por ti parecia não dirigir-se não a ti, mas a uma outra personagem que tinha inventado e que não se parecia em nada contigo. - Adriana a Michele
Mais tarde, Adriana tenta ser amiga do ex-marido, mas isso só lhe traz dor.
É verdade que não costumávamos trocar palavra quando nos encontrávamos. Todavia, agora dou-me conta de que não era necessário trocar palavras. Elas [as memórias] estavam presentes naquela hora que passávamos no café Canova e que eu achava opressiva e interminável. Não eram memórias felizes, porque eu e o teu pai nunca fomos muito felizes juntos (…) Não se amam apenas as memórias felizes. A certa altura da vida, percebemos que amamos as memórias. -Adriana a Michele
Compra uma casa no campo, na esperança de viver com o seu novo namorado, mas nada corre como planeia, as filhas mais velhas casam-se e tornam-se independentes, as mais novas passam pouco tempo em casa, acaba por acolher a cunhada mesmo não a suportando, porque a solidão é um tormento. Neste pentágono de ligações, não posso deixar de mencionar Osvaldo que serve de ponte e de apoio aos restantes intervenientes, um homem bonacheirão e misterioso, mas que deixa sempre um rastro de melancolia atrás de si.
Na sua ausência acontece-me detestá-lo ao recordar a sua voz calma e as suas respostas tão serenas e fugidias. Mas quando ele está, fico tranquila e aceito os seus silêncios e as suas respostas. Trouxeram-me os anos uma espécie de mansidão e resignação. -Adriana a Michele
O niilismo destas personagens perante a noção de felicidade é desconcertante e infeccioso, e foi com um enorme vazio que terminei esta obra que em termos de angústia consegue superar “Foi assim”, que era até agora o meu favorito desta autora italiana.
Desejo-te tudo de bom e espero que sejas feliz, admitindo que a felicidade existe. Eu não acredito que exista, mas os outros acreditam, e não está dito que não sejam os outros a ter razão.
[NOTA: Comecei por ler este livro na tradução inglesa, mas chocou-me que traduzissem a palavra “pederasta” por “pedófilo”, aplicada a um homem que poderá ser homossexual, pelos comentários e circunstâncias, mas não é de modo algum um pedófilo. A tradução portuguesa não comete esse deslize, mas é atabalhoada, coladinha ao original como de costume.]
در رمان میکلهی عزیز مجموعهای از نامههای اعضای یک خانواده را میخوانیم که به سیر داستان و اینکه چرا هر کدام از شخصیتها دچار سردرگمی و بلاتکلیفی هستند، پی میبریم. این چندمین کتاب هست که از گینزبورگ میخوانم و مانند کتابهای قبلی به خصوص کتاب "فضیلتهای ناچیز" برای من راضی کننده بود. . آرزوی خوشبختی برایت دارم، البته به شرطی که خوشبختی وجود داشته باشد. خوشبختی چیزی است که شاید نشود ازش صرف نظر کرد، حتی اگر به ندرت ردپایی از آن توی این دنیا ببینیم.
Ho amato tantissimo la Ginzburg di Lessico famigliare, per lo stile, la trama, l'ironia,per quelle battute folgoranti e quel clima di allegria, che poi, scompare, come sempre. Mi piacciono le storie della famiglie, gli aneddoti, la vita raccontata.
Anche qui c'è la storia di una famiglia, ma ci viene raccontata in forma di lettere, tutte indirizzate a quel Michele, quel figlio, fratello, amico, lontano anche quando non lo era. Qui di allegria ce n'è molto meno, c'è una madre stanca, depressa, sola. Ci sono una serie di donne come contorno (sorelle, amiche, amanti) e sono tutte ugualmente infelici e cercando di scaricare un po' della loro fatica a quel Michele che, ahimè, è più infelice di loro, si scoprirà.
Le lettere mi sono sempre piaciute molto. Quando vivevo a Manchester aspettavo con ansia il rito della raccolta delle lettere prima di cena, lì in fila a sperare ci fosse qualcosa e io, raramente, rimanevo delusa. I pacchi di mia madre (mai lamentosa, sempre allegra, con quella sua calligrafia rotonda e piena di amore), le lettere di Paola o di Ale o dei miei amici, anche quelli meno bravi a scrivere magari era solo una cartolina ma io ho ancora nitido il ricordo della gioia, pura, primitiva, delle parole a scaldarmi il cuore. Ecco perché questo libro mi è piaciuto tanto, perché pur essendo piuttosto triste, la scelta dell'autrice di trasformare la storia in lettere è stata una grande idea, un'idea perfetta per avvicinarci ai personaggi, al dolore dell'esistenza, alla fatica quotidiana.
Un paio di birre in terrazza, la sera al tramonto, si sono portate via questo librino scorrevole e amaro e dolce. Le scrittrici dimenticate che non andrebbero dimenticate mai.
Caro Michele è un romanzo epistolare a senso unico: quattro personaggi, madre, sorella e un paio di amici, scrivono lettere a Michele, protagonista assente del libro, in un periodo che va dalla fine del 1970 alla metà del 1971.
Ogni lettera, scritta con un linguaggio essenziale, parla di quotidianità e va a comporre lentamente il quadro complessivo, come le varie tessere di un puzzle compongono l'immagine finale. Non ci sono giudizi, né descrizioni, né fronzoli. Solo incastrando i vari dettagli comprendiamo la situazione e i rapporti tra le persone.
La prima immagine che si forma è quella della solitudine dei singoli, che non si parlano per lontananza ma anche per incapacità di stabilire una efficace comunicazione. E che quindi tendono a coprire l'incomunicabilità con la descrizione della banale routine.
La seconda è una sorta di mancanza di fiducia verso Michele, che è andato lontano forse proprio per allontanarsi da chi non crede, o forse crede troppo poco, in lui.
"L’importante è camminare e allontanarsi dalle cose che fanno piangere"
Ma l'immagine più importante, quella che lascia intravedere la realtà più cupa, scomoda e difficilmente accettabile, si compone molto più lentamente, arriva in punta di piedi, lasciandoci sgomenti ed attoniti.
Tutta la ricostruzione avviene in ogni caso a posteriori, quando tutto è già avvenuto, rafforzando il dramma perché tutti, spiazzati, si domandano inutilmente le ragioni della propria distanza, della propria incapacità di intuire il disagio vissuto da Michele, che è stato lasciato solo a gestire problemi certamente più grandi di lui. Alla fine della storia resta solo la memoria di ciò che ormai è irrimediabilmente passato e la tristezza per ciò che poteva essere e non è stato.
"Purtroppo è raro riconoscere i momenti felici mentre li stiamo vivendo. Noi li riconosciamo, di solito, solo a distanza di tempo"
Non c'è dubbio sulla bravura della Ginzburg a mostrare la realtà storica italiana attraverso la mera descrizione delle piccole cose del quotidiano. Un bellissimo libro che parte piano ma conquista nel finale.
Romanzo in forma epistolare, i cui personaggi, pur con le loro diverse vicende, hanno come comune denominatore la figura del protagonista Michele. Protagonista insolito, che compare in maniera diretta solo di rado e di sfuggita, mentre sono le narrazioni degli altri a tratteggiarne la figura. Ciò che più mi ha colpito di questo libro, oltre alla maestria stilistica capace di rendere scorrevole un genere di solito facile a scadere nel noioso, sta nel fatto che i personaggi solitamente definiti "balordi" o anticonformisti, sembrano gli unici vivi, gli unici che spiccano, gli unici che tutti ricordano con affetto e chiarezza. Gli altri sembrano ombre solitarie dalle vite tristi e vuote, prive di scopi e sogni, che spizzicano qua e là qualche emozione per raccontare a se stessi di esser vivi a loro volta. Un intento di denuncia sociale del conformismo, forse?
4,5* Através de um conjunto de cartas escritas sobretudo de e para Michele, senti-me quase íntima da sua família, amigos e amantes, reais ou presumidos. Habitei, durante dias, o tempo e o espaço de Adriana, Angélica, Viola, Osvaldo e da intensa Mara, entre outros. A escrita de Ginzburg é, como sempre, simples e desprovida de artifícios. As suas personagens parecem pulsar, vivas, dentro das páginas. Vou sentir a sua falta. Mais um livro maravilhoso desta escritora a que regresso sempre com paixão.
Premessa: ho iniziato la lettura della Ginzburg presa dalla vergogna. Assistevo/partecipavo a un incontro, qualche tempo fa. Federico Falco (lo scrittore argentino che ha scritto la raccolta di racconti che ho letto prima di questo) parlava di quanto lo avesse influenzato Natalia Ginzburg e la moderatrice, l’ottima giornalista di Radio24 Alessandra Tedeschi, è intervenuta per raccontargli che le nuove generazioni poco o niente sanno della Natalia Ginzburg, ché a scuola non si legge più. Eccomi qua, colpevole e colpita - senza nemmeno appartenere a una generazione così ‘ggggiovane’. Allora ho fatto quello che si deve fare in questi casi: ricorso alla madre. Madre ha sempre la soluzione. Anche un volume di Caro Michele con la copertina rigida in una delle sue librerie. Passo da casa sua e mi metto a cercarlo. Sconfitta, dopo 10 minuti chiedo soccorso. Arriva madre, lo trova in 2 secondi e un decimo, tipo, e me lo tira addosso. Ho già detto che quell’edizione ha la copertina rigida? Ecco.
Non si amano soltanto le memorie felici. A un certo punto della vita, ci si accorge che si amano le memorie.
Caro Michele è un romanzo epistolare e a me, di solito, i romanzi epistolari non piacciono affatto. Suppongo che dovessi arrivare fino alla Ginzburg per ricredermi. Caro Michele è stato scritto in un italiano attuale per l’epoca e si sente, considerando soprattutto quanto detto prima - un romanzo epistolare prevede un italiano ‘scritto’ come lessico portante della narrazione. A volte, lascia straniati e distanti. Solo a volte. Caro Michele è un romanzo su una famiglia che non c’è più, su un figlio che non c’è più, su un’esplosione, che è l’esplosione di un nucleo familiare. La forza dei legami cambia con la distanza, con quello che non viene detto. Caro Michele è un romanzo sulla solitudine in una famiglia numerosa. Tutti i personaggi sono profondamente soli, anche se molti di loro sono tutto tranne che soli. Solo che non hanno mai al proprio fianco chi vorrebbero, se davvero poi lo vogliono, che non sempre si capisce. E l’assenza è una cosa talmente tangibile per tutti, che alla fine è ciò che li lega: l’assenza di Michele, in primo luogo, che non si fa mai vedere da Adriana (madre) dopo la morte del padre che è colui che l’ha tirato grande e che più lo amava (se si eccettua Mara, forse, ammettendo che Mara alla fine ami qualcuno o possa farlo). Gli scrive la madre, gli scrive la sorella Angelica, gli scrive Mara che ha avuto un bimbo e forse è suo, gli scrive l’amico Osvaldo. Lui risponde, quando vuole. Ma alla fine fa Godot: non arriva mai.
Ognuno di noi è sbandato e balordo in una zona di sé e qualche volta fortemente attratto dal vagabondare e dal respirare niente altro che la propria solitudine, e allora in questa zona ognuno di noi può trasferirsi per capirti.
Caro Michele è un romanzo sulla vita e su come ci si arrangi per attraversarla, ognuno come può. Come si riesce. Alla fine avrei potuto dire: Caro Michele è un romanzo bellissimo. Tenero e buffo, in certi momenti. Profondamente triste in altri. Ha uno strano incanto, sembra non dire mai nulla e poi dice tante cose, oppure non le dice e proprio il fatto che manchino te le fa capire, così, come se si lavorasse per sottrazione. E forse bisognerebbe farlo a scuola rileggere oggi come oggi, mi sembra attuale. Di certo, io sono stata contenta di averlo letto.
Ti auguro ogni bene possibile, e spero che tu sia felice, ammesso che la felicità esista. Io non credo che esista, ma gli altri lo credono, e non è detto che non abbiano ragione gli altri.
Nota finale: ho una gran voglia di leggere un romanzo giallo scritto da qualcuno tipo la zia, anche con lo stesso titolo, ’Polenta e veleno’. Mi piace troppo l’idea. Qualcuno lo scriva, please.
I liked this - a lot. The beginning felt like one of those South-American soaps - where everyone is called Angelica, Viola, Maria - there's a Mara; and Adriana, the mother - who writes moany - 'I don't understand you' letters to her son, Michael - who has fled to England for unknown (dodgy) reasons.
Most of the book is in the form of letters between Michael and his family and also Mara, a girlfriend. Angelica, the elder sister is the one Michael confides in/asks for help. He requests several books to be sent to him from his basement apartment in Rome - Kant's The Critique of Pure Reason; and his Prolegomena - which subtly clues us into the intellectual type background of this family? Various other items - pin the story with a wry kind of humour. Michael needs his identity documents - quick: for a marriage, a cashmere scarf to be picked up by Oswald - his lover? And a machine gun - which he asks Angelica to dispose of.
I especially enjoyed all the letters from Mara - which she writes to most of the other characters. She thinks her baby might be Michael's. In the beginning Oswald helps Mara to move out of an unsuitable apartment - and we definitely get the picture that she is a scatter-brained, liar with the trendy type of loose morals prevalent in the early 1970s - the story is set in 70/71. But later her letters reveal her to be one of the most likeable characters - she cares for the baby lovingly and patiently and she proves herself both astute and intelligent in all her interactions, especially with Michael's more up-class family.
The only character who stays vague and opaque is Oswald Ventura - a close friend of Michaels - they all guess as to his relationship with Michael but we never hear from Oswald directly until the very last chapter -when he visits England and travels to the small Leeds house where Michael stayed with his American wife and her two children.
Ginzburg's style appears to be simple, and is in fact very easy to read and follow - but as I have said before - beware reader with this type of novel. That last letter reveals - to my mind at least - the terrible loss Oswald feels. It throws a philosophical cast over the whole. And I can say no more - because of spoilers.
Final note - the copy I have of "No Way", is a 1976 edition by Bard publishing - translated by Sheila Cudahy. The novel was first published in Italy, 1973 under the title "Caro Michele" - and changed at some unknown date to the current "Happiness, As Such".
The last title reflects - the question which is pondered by nearly all the characters at various times in their letters to each other - and makes for the better title. It also brings us neatly back to Kant.
این ریویو با یک سوال به پایان میرسد: مزایای کتاب: سبک روایت جالب...سبک روایت جالب..سبک روایت جالب... حالا این چه معنا هایی ممکنه به وجود میاره؟ 1-سبک روایتش خیلی جالبه 2-مزایای خاص دیگه ای نداره .
پ.ن:کتاب ظرافتی داشت که قابل توجه بود,برای سلیقه من متوسط بود اما..کابوس نبود..اما یک رویا هم نبود
"But we’re all unreliable and broken somewhere inside and sometimes it seems desperately attractive to be unrooted and breathing nothing but your own solitude. That’s how people find each other and understand.” - Natalia Ginzburg, Happiness, as Such.
I have picked this book desperately hoping that it will distract me from the reality. As a person who lives with anxiety and overthinking problems, trying to get some reading done during a pandemic is not an easy thing to do. I've first started reading the first couple of pages fully aware that I will be closing the book anytime soon. Quite the contrary, I found myself completely engrossed, trying to connect the dots with every letter i read. I have always had a thing for epistolary novels. They are intimate and homely on the one hand, but also mysterious and foggy on the other since you only get to read what the characters allow you to. Originally printed in Italy in 1973, "Happiness, as Such" is an Italian novel partially epistolary, partially dialogue/prose. It revolves around "a dysfunctioning family whose persistent unhappiness makes their rare happy moments stand out in interesting ways". This tragic comedy is the perfect mixture of affection, anxiety, sorrow, and disgust. I definitely recommend it if you are looking for a short book that will draw you away from whatever that you're feeling.
Absolutely brilliant. In a short exacting novel Ginsburg decisively creates complex characters. Her language and sentence structure are deceptively simple (like Sally Rooney). As a reader you are able to join the dots without having to be ‘told’ how to interpret events. Events, mostly, unfold through letters that are written back and forth between the main characters. There is also a good dose of humour in these chaotic people as they reveal themselves and each other (she’s possibly a writer that has inspired Ferrante). I’ll definitely be exploring more of her writing.
Come raccogliere i bandoli della matassa, tirare a sé tutti i fili di queste vite divise, vicine eppure lontane, incomprensibili? Parlando, parlando, parlando, cercando con quelle fragili lettere vergate con timore di creare un ponte tra sè e gli altri, di aprire una porta sulla propria vita e sulla loro, sui propri sentimenti, sulla propria cocente, eppure voluta, solitudine.
Si scrivono lettere come fossero messaggi in una bottiglia, quasi senza sapere se il destinatario le riceverà, se quando leggerà le nostre righe sarà ancora la stessa persona a cui le abbiamo indirizzate o sarà cambiato, irriconoscibile per noi e per sé stesso. Le lettere diventano una sfida allo spazio e al tempo, una sfida al passato, che pesa su di noi con tutti i suoi pregiudizi, e al futuro, pieno di incertezze, dubbi e una mesta rassegnazione.
Quello che ci si presenta, dunque, è il mosaico del presente, fatto di innumerevoli tessere brillanti, così diverse tra loro che quasi pare assurdo facciano parte della stessa immagine, che siano in grado – accostandosi le une alle altre – di dare vita a un disegno, una mappa delle relazioni, precisa, ma fragile, pronta a disintegrarsi al primo colpo di vento.
Ogni punto di vista è così sapientemente connotato da non poter essere uguale a nessun altro, la voce di ognuno è chiara, netta, al punto che quasi riusciamo a sentirla nelle nostre orecchie, mentre le parole – mute – scorrono davanti ai nostri occhi. È più quello che dobbiamo cercare tra le righe, però, che ciò che viene detto davvero. Ogni soggettività ci sembra reale, vera, ogni narrazione completa e conchiusa in sè stessa, finché altre non intervengono, poco dopo, a smentirla, a raccontare un lato della storia che prima era stato – più o meno consciamente – taciuto.
ماجرای میکله و روابط بین اعضای خانواده و آشنایان نزدیک، مضامین این کتاب را تشکیل دادهاند . گینزبورگ یکی از نویسندگان محبوب من با بهره گرفتن از پازلی که در آن شخصیتها، با نامههایی که به هم مینویسند (مخصوصا به میکله) روایت داستان را کامل می کند. طنزی خاص و اغلب تلخ دارد، و لحظاتی بسیار خنده دار (به خصوص در نامه های آدریانا) تندی خلق ایتالیایی در تکتک جملات کتاب واقعا حس میشود . شخصیت ها بسیار جالب طراحی شدهاند و بهترین نامه هم مال آدریانا و مارا هست . و اما نقطه اوج داستان؟! ...... بهتر است خودتان بخوانید و قضاوت کنید!!!
Mara, in a letter about her lover, “the Pelican”: ”I realize that I wrote ‘our room’ because it was ‘our room’ for a time and we were so happy, me and him. If there is such a thing as happiness, that was it. Only it didn’t last long. You see, happiness doesn’t last long. Everyone knows that.” (p. 142)
And “the Pelican”, in a letter to Mara: ”I wish you all the best opportunities for the future and I wish you happiness if there is such a thing as happiness. I don’t believe there is, but other people do, and who am I to say they are wrong (p. 148)
Natalia Ginzburg’s Happiness, as Such is partially epistolary, partially third person. It revolves centrally around Adriana, a middle-aged mother; Michele, her late adolescent son; Mara, his former lover who’s possibly the mother of his son; and Angelica, Michele’s older sister. Other family members and friends appear also.
The letters feel intensely personal, revealing Adriana’s love for as well as her frustration with Michele; Michele’s fecklessness and self-absorption; and Mara’s irresponsibility. Ginzburg’s portrayal of Adriana’s maternal annoyance with Michele — perhaps even her jealousy of Michele — for his father’s preference for him over his sisters is marvelous and spot-on: ��Your father’s death hit me very hard. I feel much more alone now. He didn’t support me because he didn’t care about me. Or your sisters. You were the only person he cared about. His affection for you didn’t have anything to do with you, it was an invention, something he imagined you to be.” (p. 51) And in another letter from Adriana to Michele, ”Your father certainly didn’t teach you anything, having got it into his head that you were born knowing everything. And you turned out pretty oblivious. Though I’m not sure you would have been less oblivious if you’d had a better upbringing.” (p. 55)
Angelica, like her mother Adriana, is clear-eyed about her family but not cold. Here’s Angelica in a letter to Michele: ”You say that right now you don’t want the eyes of the people who love you watching you. It is really difficult to bear the gaze of people who love you when you’re having a hard time, but you can get over that. People who love you may be judgemental, but their vision is clear, merciful and severe, and that can be rough, but it’s just healthy to face clarity, severity and mercy. . . I feel like all of us are vulnerable to the gentle art of ending up in terrible situations that are unresolvable and impossible to move out of by going either forward or back.” (p. 153) Despite the family’s and their friends’ fissures and distances, Ginzburg somehow portrays family and friends bound by love, if not always by affection or warmth.
Happiness, as Such is slow but addictive reading. Ginzburg’s writing is straightforward and translates well from Italian into English. Ginzburg’s triumph is writing a compelling and convincing novel in which two main characters seem foolish, unlikable, and callow.
Novela política incandescente. El mundo visto desde una madre. La experiencia cotidiana que se confunde con el recuerdo al estilo Fellini, una dulce nostalgia. Sin embargo, esas emociones otoñales cruzadas que configuran la experiencia humana se vuelven estereoscópicas por la política. La experiencia se recodifica por la política, que es casi lo mismo que la muerte. La emoción muta en un resplandor extraño. Ginzburg va in crescendo, recién hacia el final del libro todo cobra sentido. La prosa de esta novela es hipnótica, creo que por la tensión que lleva entre la intuición bondadosa de lo humano y una destreza única para captar lo universal en lo particular. ¿Habrá algo del Miguel ficcional en el Carlo Ginzburg real? Quizás haya algo en la proyección de la historia como política, de la política como ficción. Spoilers, ya no leas: Miguel es una especie de hijo pródigo que nunca regresó, un exiliado ontológico, se la pasa pidiendo dinero a la madre, se muda a Inglaterra, parece que tiene un hijo, la pasa mal, se vuelve activista político, homosexual, prófugo de cualquier situación que comienza a ser estable. Lo mata un fascista en un confuso episodio. Puñal. Sangre. Se impone la política, la muerte es vencedora.
"L’importante è camminare e allontanarsi dalle cose che fanno piangere."
Adriana, madre di quattro figlie femmine e un maschio, Michele, vive con la cognata Matilde e la domestica. Adriana vive in una casa di campagna, in cui non si trova completamente a suo agio. Da tanti anni è separata, e contestualmente alla separazione, lei e il marito hanno optato per una "spartizione" dei figli in funzione del sesso di appartenenza, maschio col maschio, femmine con la femmina. Una madre che di fatto ha completamente abbandonato il figlio al padre. "Non c’è niente di peggio della timidezza fra due persone che si sono detestate. Non riescono a dirsi più niente." Adriana, raggiunta una certa età, dopo aver perso il marito, con cui, durante la vita, ha intrattenuto una relazione di odio cordiale, scrive lettere a Michele. "Non so spiegarti perché mi sento più sola da quando è morto. Forse perché avevamo in comune delle memorie." Forse in balia dei rimorsi per aver abbandonato Michele o forse nel tentativo effimero di riallacciare o costruire con lui un rapporto tardivo, dato che lo ha sempre rispettato poco, ritenendolo un incapace. "Ma è vero che a un certo punto della nostra vita i rimorsi li inzuppiamo nel caffè la mattina come biscotti." Non è solo Adriana che scrive a Michele, ma tutto il microcosmo famigliare, con annessi e connessi, scrive a Michele oltre che scriversi reciprocamente. Lettere incrociate, lettere in cui non si dice niente di sostanziale. Lettere scollate, in cui alle domande della madre o alle richieste delle sorelle, Michele risponde in maniera distratta, facendo a sua volta ulteriori richieste, solitamente di natura economica. Un uomo senza pace, Michele, che si allontana da tutti e da tutto, alla ricerca forse di se stesso o forse di una ipotetica felicità. Ma forse, piuttosto, si allontana da chi non lo rispetta e non lo crede capace di nulla. Come senza pace e completamente scollati, tutti i personaggi di questo romanzo, tante isole, privi della capacità di relazionarsi e comunicare. C'è Mara, la ragazza madre, forse, del figlio di Michele. Mara che non fa che passare da una casa all'altra, da un uomo all'altro, da una città all'altra, costretta a vivere della carità di chi la ospita. C'è Osvaldo, forse l'amante di Michele, c'è Angelica, la sorella di Michele, e poi le gemelle. C'è pure Eileen la moglie di Michele, sposata solo per la di lei intelligenza, per poi scoprire che l'intelligenza della donna si applica solo alla fisica, non alla capacità di relazione. Tramite queste epistole, intervallate da brevi descrizioni della vita che scorre, si compone un quadro familiare fatto di lontananza di affetti e depressione, di gente sbandata e balorda, che vaga, che cerca, che non trova, sconfortantemente sola e isolata nella propria incapacità di comunicare con gli altri. L'affetto c'è. Forse anche l'amore. Ciò che manca è la capacità di agirlo. La capacità di prendersi cura. Reciprocamente. "Ma ognuno di noi è sbandato e balordo in una zona di sé e qualche volta fortemente attratto dal vagabondare e dal respirare niente altro che la propria solitudine, e allora in questa zona ognuno di noi può trasferirsi per capirti." La costruzione del romanzo è estremamente raffinata e originale. Il periodare brevissimo, ridotto all'essenziale, la completa assenza di retorica, il mostrare, senza esprimere giudizi, riesce a rendere con grande efficacia personaggi e contesto. Un romanzo, che, dopo il disorientamento delle pagine iniziali per i tanti personaggi che ne compongono il nucleo, non si riesce più ad abbandonare fino al commovente epilogo. Bellissime le riflessioni delle pagine finali sulla memoria, unica fonte di consolazione, "perché ci si consola con nulla quando non abbiamo più nulla".
"la morte di tuo padre mi ha colpito duramente. io adesso mi sento molto più sola. non mi dava nessun appoggio, perché non si interessava a me. (...) Non so spiegarti perché mi sento più sola da quando è morto. forse perché avevamo in comune delle memorie. Queste memorie le avevamo solo io e lui al mondo. È vero che non usavamo farne parola quando ci incontravamo. Però mi rendo conto adesso che non era necessario farne parola. (...) Non erano memorie felici perché io e tuo padre non siamo stati mai molto felici insieme. E anche se siamo stati brevemente felici, tutto poi è stato sporcato, calpestato e travolto. Ma non si amano soltanto memorie felici. A un certo punto della vita, ci si accorge che si amano le memorie"
è un passo che adoro del romanzo epistolare "Caro Michele" di Natalia Ginzburg: la storia di una frammentazione affettiva di una famiglia composta da Michele, fuggito a Londra a ritrovare forse un po' di serenità, 4 sorelle, i genitori separati. non mi interessa il filo esistenzialista che percorre il romanzo, ma alcune cose sono interessanti. La memoria rievocata qui dalla Ginzuburg, è chiaro, non è solo ricordo, è un sentimento più vasto, è una forma di condivisione emozionale. Ci fa sentire meno soli e meno in panico il pensiero che la nostra realtà, ossia il nostro io, l'architettura dei nostri pensieri e dei nostri stati d'animo sia sostenuta da testimoni ai quali sempre rimandare, cosicché una volta che questi testimoni scompaiono noi ci sentiamo meno reali, meno vivi, pur se hanno salvato di noi la parte peggiore. io dico sempre che il cervello si nutre di tutto per dare una forma coerente, come ha scritto Hume, a questo "fascio di percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento".
“Qui si passa la vita a farsi pena agli uni con gli altri”
Al contrario di Lessico famigliare questo non è il racconto di una “tribù“, come la definisce Cesare Garboli, unita da un comune sentire che rappresenta un vincolo di forte appartenenza, nonostante le difficoltà e le distanze.
“Caro Michele” mostra invece una serie di atomi dispersi: individui in bilico che non riescono a trovare una compiutezza, a darsi una forma, tra loro somiglianti solo per una profonda inadeguatezza a vivere, a trovare il proprio posto nel mondo.
Attraverso il racconto epistolare, interrotto da qualche narrazione in terza persona, conosciamo Michele (pur senza conoscerlo davvero), ragazzo sbandato e inquieto, in fuga perenne e alla ricerca di non sappiamo bene cosa, e conosciamo Adriana, la madre, che attraverso le sue lettere, va cercando un contatto impossibile col figlio lontano, ben consapevole del fallimento di questa relazione mancata.
Ci sono poi le sorelle, c’è il fedele ma indecifrabile amico, ci sono altri personaggi che arrivano come comparse in una scena sempre un po’ vuota, ma soprattutto c’è Mara, la ragazza un po’ folle che cerca ovunque e da chiunque asilo e protezione per lei e per il figlio appena nato, che forse è di Michele, ma forse no.
Sono gli anni Settanta, gli anni della lotta politica e dell’amore libero. C’è la violenza di piazza e ci sono le droghe, c’è il fallimento di una generazione che voleva cambiare il mondo e non è riuscita a cambiare se stessa.
Lo stile dimesso, il tono monocorde, insomma il distacco con cui Natalia Ginzburg tesse le fila del suo racconto è avvincente e raggelante insieme, proprio come la stagione in cui la vicenda si dispiega, l’inverno. Perché anche quando l’estate arriverà sarà impossibile percepirne il sollievo e il calore.
‘’Algunas veces pienso lo poco que hemos estado juntos tú y yo y lo mal que nos conocemos, de qué manera tan superficial me juzgas y seguramente te juzgo yo a ti’’
Esta novela tiene una estructura epistolar, tiene cartas escritas en los años 1970 y 1971, estas cartas son escritas por Miguel, su familia, Osvaldo su amigo y Mara.
Miguel el protagonista de 21 años se muda de Roma a Londres, la familia nunca sabe muchas cosas sobre su vida, solo lo que Miguel cuenta en las cartas que es muy poco acerca de su vida. Se muda en varias ocasiones y nunca nadie sabe el motivo. La madre se siente sola y desea volver a ver en algún momento a su hijo Miguel, pero eso nunca vuelve a ocurrir ya que Miguel muere en una manifestación, es una historia que habla de las relaciones familiares, es una relación particular ya que Miguel vivió más tiempo con su papá, y esa situación hizo que no pudieran conocerse del todo. “cuando a la nostalgia viene a mezclarse la repulsión, lo que ocurre es que a las personas y lugares que amamos los vemos como situados “a gran distancia y los caminos para llegar a ellos se nos antojan rotos e impracticables.”
Me ha gustado mucho como esta escrito el libro, es una historia de nostalgia, de amor, de perdida. Esta muy bien escrito y todo fluye a la perfección. Los personajes que conforman la historia están muy bien logrados. ✨
"Se acostumbra uno a todo. Cuando ya nos hemos quedado sin nada".
4.5 ⭐ No he leído a nadie, como Ginzburg, que sepa narrar bellamente la cotidianidad familiar. En esta novela se nos habla de esa soledad, que nos orilla a huir de nosotros mismos. Miguel, el protagonista, es un joven que no encuentra consuelo en ningún lado, que no sabe quién es, que tiene un secreto que lo bulle interiormente y esta metido en guerrillas. Su padre, un hombre que lo arrebató de su madre a los 8 años, sólo por capricho y por tener un heredero. Su madre, una mujer melancólica, que sufre por no saber quién es su hijo, ni que secretos lo apabullan, ni donde parará. Son estos y muchos otros personajes que recorren esta novela epistolar, donde la Soledad esta implícita en cada uno, a su manera, y que a todos los une la vida de Miguel. Todo lo que lea de Ginzburg, para mí es carta segura. Me encanta.
Quan no hi havia mòbils, ni internet, i el telèfon no era present a totes les cases, les cartes eren un mitjà imprescindible per comunicar-se. Jo me n'havia fet un fart d'enviar-ne i de rebre'n. Ginzburg titula el seu llibre de la manera com comencen moltes de les cartes que hi representa. Però, precisament, la comunicació no és la fortalesa més gran dels seus personatges.
Som a Roma, als anys setanta. En Michele és el fill de l'Adriana i ha marxat a Londres sense que ningú sàpiga massa bé per què. La mare li escriu cartes que ell rarament contesta, però sí que es comunica amb altres familiars i amics. De seguida coneixem una xarxa de personatges, amb relacions diverses, en la qual predomina la solidaritat i la sororitat, els vincles de sang i de la família que es tria. Però no d'amor típicament romàntic, aquest concepte s'ha substituït per la practicitat, l'interès o la por d'estar sol.
La proverbial xerrameca dels italians queda ben palesa tant en les cartes com en els fragments narratius de la novel·la. Però per entendre què ens vol dir l'autora, no hem d'escoltar aquesta verbositat: hem de llegir entre línies. Perquè hi ha temes dels quals ningú parla, però que són l'autèntic elefant a l'habitació. Els crits desesperats d'atenció rere un posat sorrut, les afiliacions polítiques poc clares, les preferències sexuals, les motivacions per ajudar-se els uns als altres. Ginzburg juga amb la subtilesa i els supòsits, és el lector qui ha de fer la feina extra d'entendre els seus codis entre tanta palla aparent.
A "Estimat Michele" tot té una pàtina d'amargor, com si la felicitat fos quelcom que els personatges no poden abastar. O potser es contenen, no es lliuren completament, només quan a algú altre li cal un cop de mà. La família, en sentit ampli, fa patir, decep i no sempre és com a tu t'agradaria. Però no deixa de ser el teu tot.
In questo romanzo epistolare, ambientato nell’Italia del 1970 e ‘71, Natalia Ginzburg ci offre una sfilata di personaggi stretti, chi più chi meno, nelle maglie della depressione. Una famiglia sfasciata, frammentata. Un figlio, Michele, viziatissimo ed egoista. Una ragazza-madre, Mara, sbandata, pigra, ignorante e opportunista. Varie sorelle e amici, tutti tristi da dargli schiaffoni perché si diano una mossa. E soprattutto la madre di Michele, Adriana, che secondo me è un po’ un alter-ego dell’autrice, dato che entrambe sono reduci da due matrimoni conclusi per diversi motivi.
Credo che la Ginzburg abbia scritto questo romanzo in un periodo di grande tristezza, o perlomeno abbia infuso la sua tristezza nelle pagine di quest’opera.
La scrittura è di avanguardia, forse “sperimentale”, fatta tutta di frasi molto brevi, alla Hemingway. Dopo un po’ ci si abitua, e la struttura funziona molto bene. Certo si sente la mano di una maestra dell’arte della scrittura. È solo che il contenuto è di un pessimismo atroce e i personaggi sono talmente antipatici che vorresti spaccargli la testa ogni 10 pagine.
Ti abbraccio e ti auguro felicità, ammesso che la felicità esista, cosa che forse non è del tutto da escludere, anche se raramente ne vediamo traccia nel mondo che ci è stato offerto. — Tua madre
...in quella camera, per qualche tempo, lui e io siamo stati felicissimi. Se la felicità esiste, quella era. Solo che è durata poco. Si vede che la felicità dura poco. L'hanno sempre detto tutti. — Mara
...spero che tu sia felice, ammesso che la felicità esista. Io non credo che esista, ma gli altri lo credono, e non è detto che non abbiano ragione gli altri. — Il pellicano
«et desitjo molta felicitat, admetent que la felicitat existeixi, cosa que potser no s'ha de desestimar del tot, encara que rarament en trobem signes en aquest món que ens ha tocat viure»
Una famiglia muta e triste ed un’altra ciarliera ed allegra.
Sulla scorta della lettura di una biografia di Natalia Ginzburg scritta da Sandra Petrignani, appena edita, ho deciso di affrontare due romanzi appartenenti a due epoche diverse della sua produzione. E’ stato interessante incontrare di seguito due rappresentazioni della famiglia così distanti fra loro ad opera della stessa autrice. In entrambi i romanzi al centro c’è, appunto, la famiglia. In “Caro Michele”, libro del 1973, la famiglia è raccontata attraverso le lettere di amici e familiari di Michele (un protagonista quasi in absentia). E’ una famiglia che assomiglia alle schegge di uno specchio rotto: in ogni lettera, nonostante sia indirizzata ad altri, pare che il mittente scriva a sé stesso, riflettendo le proprie solitudini, paure, fragilità. Lo specchio pare rotto, frantumato in modo irrimediabile, incapace di recuperare coesione ed unità. Il romanzo è scritto in una paratassi quasi esclusiva, costruita di frasi brevissime, che aumentano la percezione di frammentazione, piena di ripetizioni continue, fastidiose. La riflessione dei personaggi si fissa spesso su dettagli quasi insignificanti che amplificano l’effetto di straniamento, come se, isolati e chiusi in loro stessi, i personaggi non riuscissero a vedere nemmeno l’insieme del reale, ma solo frammenti drammatici. La famiglia di “Lessico famigliare”, edito nel 1963, è irriconoscibile rispetto a quella di “Caro Michele”. Tanto è angosciante la lettura di “Caro Michele”, quanto è piacevole, leggera e divertente quella di “Lessico famigliare”, racconto dichiaratamente autobiografico. La famiglia qui è un luogo lieto, spensierato, un caos piacevole (nonostante le disgrazie, che non turbano il tono ) in cui tutti hanno un posto, un’identità e in cui i legami non si perdono, nonostante le distanze fisiche. Bastano un’espressione o una parola del proprio lessico famigliare per ritrovare unità e intimità. Il libro è piacevole, scorrevole, scritto con disinvoltura ed abilità. Indimenticabili e simpaticissime le figure del padre, prof. Giuseppe Levi, e del fratello Alberto. (Certo che ci si sente di serie B a non vedere girare per casa tutti gli esponenti della cultura del proprio tempo come accade in questa famiglia....) Una famiglia muta e frantumata e un’altra ciarliera ed unita: sono due prospettive entrambe ben rappresentate per due romanzi riusciti (senza tuttavia essere capolavori).