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«Togliamo anche queste?», le chiese con un ghigno diabolico senza aspettarsi risposte, afferrando l’elastico delle semplici mutandine bianche. […] Jesse affondò il viso nell’inguine di Riley percorrendo il bordo delle mutandine con la lingua e appena lei avvertì quel tocco leggero, caldo e umido, sussultò. “Bene”, pensò lui, “Così ti voglio”. Continuò a baciare e aspirare l’essenza di Riley attraverso il cotone sottile e rorido, impregnato di lei. Quando la sua bocca raggiunse l’innocente fiocchetto, tese le labbra per catturarlo e proseguire con la delizia nascosta sotto. «Oh, sì!», ansimò Riley appena lo sentì. Jesse continuò a succhiare e stringere, avvicinandosi Riley al viso il più possibile. […]. Si tuffò a bocca aperta su di lei, come un affamato che non vede cibo da un mese, pregando che fosse buona quanto il resto di quel corpo magnifico. Lo era: calda, dolce, bagnata.
[…] Entrò in lei accompagnandosi con una lenta spinta del bacino, pur incontrando un’inaspettata resistenza. Non era vergine, ma poco ci mancava e questo complicava le cose. Voleva coinvolgerla in un lungo amplesso appagante per entrambi, ma sentirla così stretta gli aveva provocato una vertigine, un brivido che era partito dal basso ventre e gli era salito fino alla testa. E calda, caldissima, un inferno sotto di lui. […] A ogni affondo gli sembrava di fondersi a lei e a malapena si era reso conto di quanto ora annaspasse sotto di lui, il seno velato di sudore brillava nella luce della notte, alzandosi e abbassandosi con il respiro affannato e sempre più corto. […] Almeno sembrava di nuovo pronta a venire perché a lui mancava davvero poco, e la resistenza stava finendo. […]

Quinn si stava sfregando l'uccello attraverso gli short, guardandolo con le labbra tra i denti come un predatore affamato. Nate si spostò tra le sue gambe, abbassandogli i pantaloni. L'uccello saltò fuori appena libero, e Quinn, subito, ci strinse la mano attorno. «No,» disse Nate, spostandogliela. «Questo è mio.» Chiuse le labbra attorno alla cappella e succhiò leggermente, senza mai lasciarlo con lo sguardo. «Cazzo,» imprecò Quinn, alzando i fianchi dal letto. Incoraggiato dalla sua reazione, Nate si abbassò prendendolo in bocca più che poté. Mosse le palle con l'altra mano, stuzzicando gentilmente il perineo allo stesso tempo. Quinn si contorceva sul letto, con le mani strette alle lenzuola, gli occhi quasi neri per una necessità folle. Nate sapeva che avrebbe dovuto fermarsi se voleva che lo scopasse, ma il sapore gli stava dando dipendenza. […]
Si tirò indietro, sistemò in fretta il preservativo e si lubrificò l'uccello, prima di strizzarsene un po' sulle dita e portarle alla sua apertura. Il primo tocco sul suo punto più sensibile gli mandò una scossa di piacere in tutto il corpo. Era già al limite e pronto a venire, e il suo corpo era così eccitato, così ansioso di sentire Quinn dentro di lui. […] Mordendosi il labbro per la concentrazione Quinn aggiunse un altro dito, allargandolo fin quasi al dolore. Nate fece una smorfia, ma non distolse lo sguardo. […] Spingendo lentamente, Quinn violò i muscoli stretti, facendolo ansimare. «Cazzo!» imprecò lui inarcandosi sul letto, piantandogli le dita tra le costole e affondandogli i denti nella spalla. «Di più.» «Nate...» «Quinn, dammi di più, cazzo.» Quinn mosse il bacino con una lentezza agonizzante, finché Nate non sentì le palle del ragazzo contro il suo culo. […]

Così, quando entrai in casa, e lui si girò con un ampio sorriso spensierato che gli occupava metà volto, e disse: «Ehi Duane, ti sono mancato?» Gli diedi un pugno in faccia. […]
Barcollò all’indietro, più a causa della sorpresa che del mio pugno, e mi lanciò un’espressione corrucciata di completa confusione, mentre si stringeva la mascella. «Perché diavolo l’hai fatto?»
Non risposi.
Gli lasciai leggere le mie intenzioni nei miei occhi, gli lasciai un paio di secondi per prepararsi, poi mi scagliai contro di lui. […] Facemmo un casino totale nel salotto: sbattemmo contro le pareti, mandammo fotografie incorniciate a schiantarsi contro il pavimento. Mi aveva stretto la testa tra il gomito e il corpo, in una presa di sottomissione, e io usai la posizione per dargli una gomitata nelle costole, poi gli piantai un pugno nei reni, mentre faticava a trattenermi.
Mi sanguinava il naso e fui soddisfatto vedendo che Jethro aveva il labbro spaccato, quando fummo interrotti da un sussurro severo. «Che vi salta in mente a voi due?»

È andata in negozio, ha scelto uno dei coltelli dall’armadietto – uno che fosse abbastanza corto da poterlo nascondere nella manica ma lungo a sufficienza da permetterle di raggiungere il suo obiettivo – ed è ritornata in soggiorno». [...] «Sarah volta la schiena a sua madre, la situazione perfetta [...] E [...] era anche abbastanza esperta da infliggere una coltellata da dietro senza prendere le costole e la colonna vertebrale…».
«Esperta?»
«Ovviamente aveva già accoltellato il marito. [...] «Quindi ha conficcato il pugnale tra le costole [...]. Sarah sarebbe morta subito e lei non si sarebbe macchiata. Tutto il sangue che abbiamo trovato per terra e sulle pareti è sgorgato solo una volta che il cuore ha smesso di battere». [...] Quindi ha convinto [...] a far finta che si fosse trattato dell’aggressione di un maniaco. Dovevano ricreare al meglio la scena del delitto di Slurry Street, comprese le molteplici coltellate». [...]
«Fa un pasticcio. Agita il coltello in preda a una paura cieca, non riesce nemmeno a sopportare la vista di ciò che sta facendo a quella ragazza innocente, che un tempo gli era amica. Tutto ciò che desidera è mettere a tacere le sue urla».
«Lei ha opposto resistenza». [...] tutte quelle ferite sulle braccia e sulle mani…».
«Ecco perché ha perso tanto sangue. Ha lottato, ma poi ha dovuto soccombere all’ultimo disperato affondo, quando la lama del coltello si è spezzata contro le sue ossa».

L’ultima tappa. La Camera della Morte. […]
Il direttore si gira verso il vetro a specchio e si toglie gli occhiali. Il segnale. Dietro lo specchio il primo pistone va giú, il Pentothal scorre nel tubicino che porta al polso sinistro di Gesú. […] Adesso altri pistoni vengono premuti e sparano verso il suo polso destro le altre due miscele del cocktail a tre veleni: prima il bromuro di cromo, un rilassante muscolare che farà collassare polmoni e diaframma, poi finalmente il cloruro di potassio, il veleno che gli fermerà il cuore. Ed eccolo che arriva, ma non è il solito luogo comune della luce in fondo al tunnel e neanche la sensazione di fluttuare sopra il proprio corpo e vedere dall’alto tutti i presenti. Solo una sensazione di… Oh, fermi tutti. Oh cazzo, fermi tutti, fa male. Porca zozza, fa male. Perfino nel torpore indotto dai sedativi sente il bromuro che gli corrode i polmoni, il cuore, la milza. Tutto si sfascia, si squaglia dall’interno, come se dentro il corpo non ci fosse altro che bile. Acido. Ecco, è come se ti pompassero dell’acido rovente in ogni anfratto delle viscere.
[…] il becchino in seconda del carcere di Huntsville entra in obitorio con un foglio di carta in mano, il certificato di morte di Gesú Cristo. Sul certificato, alla voce «CAUSA DEL DECESSO», c’è scritto «Esecuzione legale certificata dallo Stato».