Colosseum. Sfide all'ultima pagina discussion

42 views
La sfida dell'Alfabeto > L'AbBeCeDrilli 2022

Comments Showing 1-20 of 20 (20 new)    post a comment »
dateUp arrow    newest »

message 1: by Drilli (last edited Jan 08, 2023 06:25AM) (new)

Drilli | 5052 comments Ce l'ho fatta, ci sono anche io :D

📗 A. Asimov, Isaac, Io, Robot - LETTO: 1 LL + 2 NC = 3 punti
📗 B. Banini, Alessio, La strada perduta - LETTO: 1 LL + 2 NC = 3 punti
📗 C. Chevalier, Tracy, Strane creature - LETTO: 1LL + 2NC = 3 punti
📗D. Dürrenmatt, Friedrich, L'incarico ovvero Sull'osservare di chi osserva gli osservatori - LETTO: 1LL + 2NC = 3 punti
E. Emezi, Akwaeke, Acquadolce
F. Funke, Cornelia, Fearless: Il mondo oltre lo specchio
📗 G. Goodrich, Heddi, Perduti nei Quartieri Spagnoli --> sostituito con Goncharov Ivan, Ninfodora Ivánovna - LETTO: 1 LL + 1 E = 2 punti
📗 H. Harris, Robert, Pompei - LETTO: 1LL + 2NC = 3 punti
📗 I. Iwasaki, Mineko, Storia proibita di una geisha: una storia vera - LETTO: 1 LL + 2 NC = 3 punti
📗 J. Joyce, James, Dedalus: Ritratto dell'artista da giovane (rilettura) - LETTO: 1 LL + 2 NC = 3 punti
📗 K. Karinthy, Ferenc, Epepe - LETTO: 1LL + 2NC = 3 punti
📗 L. Lukyanenko Sergei, I guardiani della notte --> cambio con London, Jack, La figlia delle nevi - LETTO: 1 LL = 1 punto
📗 M. Moers, Walter, Le tredici vite e mezzo del Capitano Orso Blu (in lettura) - LETTO: 1 LL + 2 NC + 3 PP = 6 punti
📗 N. Nashiki, Kaho, Le bugie del mare - LETTO: 1 LL + 2 NC = 3 PP
O. Ozpetek, Ferzan, Rosso Istanbul
📗 P. Pamuk, Orhan, Il mio nome è Rosso - LETTO: 1 LL + 2 NC = 3 punti
📗 Q. Queneau, Raymond, I fiori blu (rilettura) - LETTO: 1 LL + 2NC = 3 punti
📗 R. Rushdie, Salman, Luka e il fuoco della vita - LETTO: 1 LL + 2NC = 3 punti
📗 S. Sapkowski, Andrzej, Il tempo della guerra - LETTO: 1LL + 2NC = 3 punti
📗 T. Turton, Stuart, Le sette morti di Evelyn Hardcastle - LETTO: 1LL + 2NC + 1P = 4 punti
📗 U. Ueda Akinari, Racconti della pioggia di primavera - LETTO: 1 LL + 2 NC + 1E = 4 punti
📗 V. Vonnegut, Kurt Jr., Piano meccanico - LETTO: 1 LL + 2 NC = 3 punti
📗 W. Woolf, Virginia, Orlando --> cambio con Wilde, Oscar, L'importanza di chiamarsi Ernesto - LETTO: 1 LL + 1E + 1 LS = 3 punti
📗 X. - Lu Xun, Fuga sulla luna e altre antiche storie rinarrate - LETTO: 1 LL + 3 X cognome = 4 punti
📗 Y. Yourcenar, Marguerite, L'opera al nero --> cambio con Yoshida, Shuichi, Appartamento 401 - LETTO: 1LL = 1 punto
📗 Z. Zerocalcare, Dimentica il mio nome - LETTO: 1LL + 2 NC = 3 punti

Punteggio totale: 70 punti

Riassunto punteggi:
-1 punto per ogni libro letto (LL)
-1 pt. per i libri di almeno 500 pag e 1 pt. ogni 100 pagine eccedenti le 500 (ad es. se un libro ha 612 pag. darà 2 pt., uno di 780 ne darà 3) (P)
-1 pt. per i libri pubblicati prima del 1900 (E)
-1 pt. per i libri abbandonati in precedenza (A)
-1 pt. per i saggi (S)
-1 pt. per i libri letti in lingua straniera (LS)
-2 pt. se il libro letto corrisponde alla scelta iniziale fatta con la lista preliminare obbligatoria (NC)

Terminato l'alfabeto saranno inoltre conteggiati ulteriori:
-100 pt.
ai quali si sommano:
-50 pt. se si segue nella lettura, dall'inizio alla fine, l'ordine alfabetico A-Z
-15 pt. se si è scelta la modalità alfabeto completo (26 libri)


message 2: by Debora (new)

Debora (nynaeved) | 2067 comments Fearless letto! questa nuova saga della Funke mi piace.
Moers è geniale, ti farà ridere in alcuni punti e in altri dirai "ma come ci ha pensato?" però non è un page turner, in alcuni punti è lentissimo, quindi prendilo con calma!
Sapkowski lo continuo con fatica ma solo perché ho tutti gli ebook, anche con lui porta pazienza


message 3: by Acrasia (new)

Acrasia | 6261 comments Epepe credo sia il libro più inquietante che io abbia mai letto, ma nello stesso tempo bellissimo.
Orlando l'ho appena letto e per me è stata pura poesia :)

Buone letture!


message 4: by Ajeje (last edited Jan 27, 2022 11:38AM) (new)

Ajeje Brazov | 8375 comments Beh Io, Robot è staordinario, su Orso blu sai già ;-)
I fiori blu bellissimo, ma vedo che farai una rilettura quindi sai già e poi quel Vonnegut che bramo da tanto tempo...
Buone letture!

Edit: ah dimenticavo (chissà perchè proprio un libro che si chiama "Dimentica il tuo nome"? ;-P) Zero è sempre esilarante!


message 5: by LaCitty, web jumper (new)

LaCitty | 15860 comments Mod
Hai messo in lista due libri che a me sono piaciuti tantissimo: Il mio nome è Rosso e Le sette morti di Evelyn Hardcastle. Quest'ultimo è un po' strano, lo ami o lo odi, quindi spero che a te piaccia.
U in comune, dobbiamo organizzare un gdl😉


Caraliotiscrivo | 1544 comments Mod
La lista va bene. :)
Buone letture!


message 7: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Debora wrote: "Fearless letto! questa nuova saga della Funke mi piace.
Moers è geniale, ti farà ridere in alcuni punti e in altri dirai "ma come ci ha pensato?" però non è un page turner, in alcuni punti è lentis..."


Moers ho un po' di timore ad affrontarlo, più che altro per via della mole... ultimamente faccio davvero fatica coi libri tanto lunghi, ma ne ho sentito parlare talmente bene che voglio farcela!
Per Sapkowski invece ho la spinta facile che viene dalla serie TV :P

Acrasia wrote: "Epepe credo sia il libro più inquietante che io abbia mai letto, ma nello stesso tempo bellissimo."
Con l'amore che ho per la linguistica le mie aspettative per questo libro sono altissime, spero non rimangano deluse!

Ajeje wrote:"Edit: ah dimenticavo (chissà perchè proprio un libro che si chiama "Dimentica il tuo nome"? ;-P) Zero è sempre esilarante!"
🤣
Con Zerocalcare sto andando in ordine di pubblicazione, saltando solo gli estratti dal blog e leggendone 1 o 2 all'anno. L'unica eccezione che ho fatto è stata Kobane Calling che ero troppo curiosa di leggere, ma per il resto ne infilo uno dietro l'altro in ordine :D

LaCitty wrote:"U in comune, dobbiamo organizzare un gdl😉"
Volentieri!!
Comunque Il mio nome è rosso è lì in lista per "colpa" tua, per averlo messo in Biblioteca nella Sfida dei Buoni Propositi :P


message 8: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Inauguro finalmente l'alfabeto, partendo dalla D di Drilli! Ehm, no, cioè, dalla D di Dürrenmatt!

Ho letto L'incarico ovvero Sull'osservare di chi osserva gli osservatori.

Dürrenmatt sa come spiazzare il lettore, e in questo caso, almeno con me, ci è riuscito alla grande. Il romanzo parte come un'indagine sul misterioso omicidio della moglie di un famoso ed eccentrico psichiatra, ma già dopo pochi capitoli inizia a diventare tutt'altro, e ci ritroviamo invischiati in situazioni sempre più improbabili e sempre più cupe - che quasi sconfinano nella distopia e sono popolate da personaggi sempre più inquietanti ed eccentrici.
Eppure, a ben guardare, tutto quanto accade ci era in qualche modo stato anticipato dal logico D., amico della protagonista F., che osserva come "per ogni osservato ci vuole un osservatore, il quale, se viene a sua volta osservato da quell'altra persona osservata, diventa egli stesso un osservato, una banale interazione logica, che tuttavia, trasposta nella realtà, sortisce effetti allarmanti [...] e lui, che osservava i suoi osservatori, era sintomatico del nostro tempo, in cui tutti si sentono osservati da tutti e osservano tutti, oggi l'uomo è un uomo sotto osservazione, disse, lo Stato lo osserva con metodi sempre più raffinati, l'uomo cerca sempre più disperatamente di sottrarsi all'essere-osservato, allo Stato l'uomo risulta sempre più sospetto e viceversa, parimenti ogni Stato osserva l'altro e da ogni altro si sente osservato".
Tutto quanto accade in seguito, per quanto inaspettato e improbabile, non è che un susseguirsi di variazioni su quest'unico tema, racchiuso già nel sottotitolo del romanzo: "sull'osservare di chi osserva gli osservatori".
E' un tema che personalmente trovo estremamente intrigante, ma non ho amato particolarmente, per quelli che sono i miei gusti, il modo in cui qui viene svolto: diciamo che la vicenda si fa un po' troppo cupa, e che tutti i personaggi, le situazioni e gli elementi che compongono il racconto - che presi singolarmente sono molto interessanti - messi tutti insieme, in fila l'uno dopo l'altro, mi sono sembrati un po'... un'accozzaglia, ecco.

Riconosco comunque la genialità di questo racconto e trovo che la definizione, letta qui su Goodreads, di "noir metafisico" gli si adatti in modo assolutamente perfetto.


message 9: by Drilli (last edited Mar 14, 2022 03:40AM) (new)

Drilli | 5052 comments Dopo la D di Drilli viene, giustamente, la S di Sara...! xD
No, scherzo, S di Sapkovski, Il tempo della guerra!

Dopo una prima metà davvero lenta - persino per me che apprezzo molto i romanzi lenti - il ritmo de Il Tempo della guerra finalmente accelera nella seconda parte, quando l'attenzione si concentra tutta su Ciri (che, almeno per quanto riguarda i romanzi, è molto più protagonista di Geralt, e a mio avviso è un personaggio anche più interessante e meglio delineato). La quarta stella è solo per il capitolo finale, che lascia presagire risvolti interessanti - che spero non verranno delusi nel prossimo volume.
In questa saga continuo a trovare aspetti molto, molto interessanti: i dialoghi così vivi; l'attenzione ai dettagli, soprattutto per quanto riguarda mostri, pozioni e gli altri aspetti che ne hanno reso così facile la trasposizione videoludica; il modo in cui sono trattati i maghi, la magia e la confraternita; ma soprattutto il fatto che ciò che ci serve sapere dell'ambientazione venga fornito in maniera molto "naturale", senza spiegoni o noiose descrizioni, e l'ambientazione stessa - che in questo volume pesca meno dal folklore mitteleuropeo ma approfondisce intrighi e politica). Tuttavia ci sono altri aspetti che non riescono a farla "decollare": pur avendo abbandonato, col terzo volume, la forma del racconto, in realtà questa permane, perché i romanzi sono di fatto narrati per episodi; la cosa di per sé non mi dispiace, perché comunque il legame tra questi episodi, pur non sempre esplicitato, è presente e palese, tuttavia la storia nel complesso perde di armonia. E poi - e questo è l'altro aspetto che non riesce a far decollare la storia - non tutti gli episodi occupano lo stesso spazio, non tutti hanno un buon ritmo e non tutti risultano ugualmente interessanti per il lettore, specie quando si dilungano più del necessario (motivo per il quale la prima metà di questo volume non riesce a conquistare ed avvincere il lettore).
Nel complesso però la storia mi piace, ai personaggi sono molto affezionata avendo già giocato ai videogiochi e il finale di questo volume, come detto sopra, lascia presagire risvolti interessanti che mi spingono senza dubbio a continuare col prossimo.


message 10: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Ho letto anche la P!

Il mio nome è Rosso è un interessantissimo giallo storico che, attraverso le voci di numerosi personaggi (protagonisti o spettatori che siano) ci conduce alla risoluzione dell'enigma facendoci immergere nell'affascinante mondo dell'arte della miniatura ottomana, di cui conoscevo veramente poco prima di affrontare questa lettura. I punti di vista dei personaggi, il racconto delle loro storie e dei loro pensieri ci portano a indagare i numerosi conflitti (religiosi, etici, morali) che attraversano questo mondo e che emergono in modo ancora più prepotente nella Istanbul del XIV secolo che, nel suo ruolo di ponte tra Oriente e Occidente si fa anche teatro del confronto e dello scontro tra arte occidentale e arte orientale. Scopriamo allora quanto delicata sia la posizione del pittore in questo contesto, perché "artista" è un attributo che può essere rivolto ad Allah solo, perché raffigurare la realtà così come gli appare è blasfemo, in quanto viene considerato un mettersi in concorrenza con la divinità, l'unica che può "creare"; dipingere il mondo è consentito solo in maniera idealizzata, solo come strumento per mostrarci come Allah lo vede e quanto lo ama. Avere uno stile personale, dunque, non è ammesso, si può solo seguire lo stile degli antichi maestri, perché ogni innovazione rischia di essere tacciata di blasfemia e immoralità. L'incontro, quindi, con i prodotti dell'arte pittorica occidentale del tempo (e con i ritratti in particolare) non può non colpire e scuotere la coscienza di chi dell'arte fa il proprio mestiere...

Quando, nel corso degli anni, guardiamo un libro e poi un altro, un disegno e poi un altro, capiamo che, con le sue meraviglie, un bravo pittore rimane nella nostra mente e alla fine cambia anche il panorama della nostra memoria. Una volta che il talento e i disegni di un miniaturista penetrano nella nostra anima, diventano per noi un criterio di bellezza del mondo intero.

Nella trama del romanzo e nei pensieri dei personaggi ritroviamo ciascuno di questi conflitti, e grazie alla polifonia di voci che si alternano li vediamo affrontati da numerosi e diversi punti di vista, e ci consentono quindi di scendere a fondo nel problema.
Ci sono momenti in cui il ritmo della lettura rallenta molto e si fa faticoso, ma per la maggior parte del tempo la narrazione degli eventi si alterna e si intreccia in modo perfetto con l'analisi delle tematiche affrontate.
L'alternarsi dei punti di vista, poi, crea effetti molto interessanti anche dal punto di vista della risoluzione del caso: ci sono capitoli scritti dal punto di vista dei tre principali sospettati, e capitoli scritti esplicitamente dal punto di vista del colpevole, condotti con una intenzionale vaghezza e un'intenzionale ambiguità, tali da lasciarci costantemente qualche dubbio su quale dei tre sospettare più degli altri; dubbio che ci viene sciolto un po' per volta, capitolo per capitolo, fino alla rivelazione finale che - cosa che ho apprezzato moltissimo - non si svolge con il classico "spiegone finale" dal romanzo giallo, ma in modo del tutto naturale nel corso dell'azione, proprio grazie a questa originale e sapiente alternanza di punti di vista.


message 11: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Doppio aggiornamento, con la K di Karinthy e poi la C di Chevalier!

Epepe
La premessa da cui parte Epepe è, a mio avviso, brillante e originale: a causa di un imprecisato errore, nello scendere dal suo aereo Budai non si ritrova a Helsinki, bensì in una città sconosciuta dove tutti parlano una lingua sconosciuta e incomprensibile. E Budai non è proprio una persona qualunque: è un linguista famoso nel suo campo, e che può vantare la conoscenza di ben 20 lingue. Tuttavia, quella parlata nel misterioso luogo in cui si ritrova catapultato, non si ricollega a nessuna di esse e sfugge ai suoi tentativi di analisi e studio.
Questa premessa si fa occasione per parlarci delle difficoltà di comunicazione tra persone - non solo linguistiche - e dell'incomunicabilità vera e propria, dell'alienazione e della solitudine cui non solo la mancata conoscenza della lingua, ma soprattutto un determinato tipo di società (sovraffollata, frenetica, rigida) può portare, perché vengono a mancare del tutto empatia e solidarietà.

Peccato che lo svolgimento non sia stato dei migliori: è decisamente altalenante, e in un certo senso privo di un focus definito; nel corso della lettura ho cambiato più volte opinione, passando dall'esaltazione iniziale alla noia nel constatare che il tema di fondo viene trattato ripetendo più e più volte lo stesso schema, senza mai aggiungere nulla di nuovo; il mio interesse si è riacceso nel momento in cui Budai inizia ad impegnarsi seriamente nel tentativo di analizzare e studiare questa lingua misteriosa (adoro la linguistica!) e riesce finalmente a stabilire un contatto e un rapporto con una degli abitanti del luogo (la Epepe del titolo)... per poi rimanere nuovamente delusa dal corso che prendono gli eventi e da come il libro si conclude.
Non che l'ultima parte del romanzo non sia interessante: ci viene mostrato qualcosa in più della strana metropoli in cui Budai si trova, e soprattutto della sua società, accentuando nel lettore il senso di straniamento e sottolineandone ancora una volta gli aspetti negativi, che si fanno naturalmente specchio (deformato) di molti meccanismi delle società moderne. La parabola discendente che Budai attraversa, inoltre, riesce a coinvolgere e sconvolgere chi legge, ricordandoci quanto poco potrebbe bastare per far precipitare la vita di un individuo. Tuttavia, questo finale si slega sempre di più dalla premessa da cui il libro era partito, dandomi quasi l'impressione di essere passata senza rendermene conto da un romanzo a un altro.
Insomma, avrei preferito che la storia si incentrasse tutta su quell'iniziale premessa, senza prendere deviazioni su altri temi, e soprattutto che si sviluppasse, poi, a partire da quella premessa, in modo più dinamico e meno ripetitivo.

Sono comunque contenta di aver affrontato questa lettura, che resta un testo originale e stracolmo di spunti di riflessione.

Strane creature
«[...] Ma che c'entra l'ittiosauro?»
«Be', quando Mary Anning lo scoprì cambiò, senza volerlo, il nostro modo di vedere il mondo. Di colpo era apparsa questa creatura misteriosa, di cui non c'era traccia sulla terra. Una creatura che non esisteva più da chissà quanto tempo, una specie estinta... ovvero, scoparsa per sempre. Quella scoperta fece nascere il dubbio che il mondo fosse soggetto ai cambiamenti, che si trasformasse, anche se molto lentamente, invece di rimanere sempre uguale a se stesso, come si pensava in precedenza.»


Un piacevolissimo romanzo storico, che ho letteralmente divorato tanto è scorrevole e tanto mi è stato facile simpatizzare con le protagoniste. E' molto interessante anche la storia che l'autrice ha scelto di raccontare: quella di due strane creature - non solo l'ittiosauro e il plesiosauro scoperti da una delle protagoniste, ma anche le due protagoniste stesse - due donne che riescono a sfidare le convenzioni dell'epoca, a non farsi soffocare dal giudizio altrui, e a coltivare non solo il loro insolito interesse (quello per i fossili, nutrito ai tempi quasi esclusivamente dagli uomini) ma anche il proprio orgoglio e indipendenza di donna. Cosa che, naturalmente, ha un costo: il loro essere strane creature (secondo i canoni dell'epoca) che si interessano di strane creature (ancora sconosciute all'epoca) le vedrà messe in ridicolo, maltrattate ed escluse dalla piccola comunità in cui vivono, ma soprattutto il loro essere donne in un mondo di uomini (quello della geologia e della paleontologia) comporterà il mancato riconoscimento dei loro importantissimi contributi alla ricerca scientifica; i loro ritrovamenti, le loro intuizioni, le loro teorie... verranno "prese in prestito" dagli uomini con cui si relazioneranno e che di queste scoperte e teorie prenderanno tutto il merito. Una traccia dei contributi di queste donne, però, per quanto misera e posta in secondo piano, è rimasta: brevissimi ringraziamenti ed accenni in pubblicazioni scientifiche, il solo cognome (per non far saltare all'occhio che si trattasse di donne!) nelle etichette delle donazioni fatte ai musei... Partendo da queste tracce, la Chevalier ha studiato e indagato e ha ricostruito per noi una bella storia, in cui sì, certo, c'è tanto di romanzato, ma in cui pure la totalità dei personaggi e degli eventi principali fu realmente esistita.
Ho trovato piacevole ogni aspetto di questo romanzo: le descrizioni dei paesaggi e delle atmosfere; le protagoniste e il modo in cui vengono mostrati al lettore i loro sentimenti, i loro timori, la loro passione, la loro amicizia; i personaggi secondari, che riescono quasi tutti a non farsi semplici macchiette; la semplicità con cui vengono trattati argomenti importanti, come il conflitto tra scienza e religione - le prime prove della continua evoluzione del mondo e delle sue creature, che mettono in dubbio l'infallibilità di Dio per come era allora concepita dalla maggioranza delle persone - e lo sconvolgimento ideologico che le nuove teorie portarono con sé; lo stile pulitissimo e scorrevole, senza fronzoli ma anche senza sbavature; l'ironia e il sarcasmo che fanno capolino qua e là; la critica alla società e alle convenzioni del tempo, che non si fanno mai protagoniste ma pure assolutamente presenti; la rivendicazione orgogliosa del fatto che la ricerca scientifica è stata, è e sarà sempre, appannaggio non solo maschile.
Non un capolavoro, forse, ma indubbiamente un mezzo riuscitissimo per scoprire e gustare una storia poco nota.


message 12: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Finalmente torno ad aggiornare, con la lettera Z di Zerocalcare!

Dimentica il mio nome

Forse crescere significa anche questo.
Accettare che quel monte che protegge la vallata ha anche un altro versante, nascosto.
Che il terreno non è tutto uguale, ci sono zone più fertili, altre più aride...
...alcune parti sono addirittura a rischio frana.
Ci sono angolazioni e scorci che non avresti mai potuto scorgere dalla tua prospettiva iniziale.
E' così che si diventa uomo (o donna)? Accettando che una montagna è l'insieme di quelle prospettive, sennò è solo un fondale teatrale?


Dimentica il mio nome inizia in modo simile alle precedenti graphic novel: un evento dell'autobiografia dell'autore - la perdita della nonna - che si fa occasione di riflessione su temi più ampi (diventare adulti, il rapporto tra genitori e figli e nonni) che a loro volta si accompagnano a scenette e sketch su aspetti vari della vita quotidiana.
Dopo un po' però le cose cambiano: il tentativo di ricostruire i buchi sul passato della nonna si traduce in una trama più elaborata e costellata anche da flashback, che si fa sempre più avvincente man mano che si scoprono nuovi dettagli.
Mescolando vera storia di famiglia con elementi di fiction e trasformando alcuni alcuni elementi di trama in metafore (le volpi, i mostri, l'orso...) Zerocalcare costruisce per la prima volta una storia complessa, che personalmente mi è piaciuta molto e mi ha tenuta incollata alle pagine fino alla fine.
Non mancano, come al solito, numerose pagine e tavole bellissime, dotate di quel mix unico di tenerezza, empatia e profondità che possiamo definire il marchio tipico dell'autore e che te lo fanno anche sentire incredibilmente vicino, come se la storia te la stesse raccontando qui, di fianco a te, da amico ad amico.
Rispetto alle precedenti, personalmente ho trovato meno episodi in cui mi sia potuta riconoscere, ma è proprio il cuore della storia quello che mi ha coinvolta di più: a quanti di noi capita di sapere poco o nulla dei propri nonni? Certe cose gli adulti ai bambini non le raccontano, e i bambini o gli adolescenti spesso non pensano di chiederle... e quando poi diventiamo grandi l'occasione di fare domande è già passata. Non ho mai chiesto a mio nonno materno della guerra, né di come sia stato crescere negli anni '20 e '30 in un paesino sperduto tra le montagne del Molise, per poi passare da quel mondo alla grande metropoli... Nè si conoscono le origini del titolo nobiliare che ereditò mio nonno, barone senza un soldo... Per non parlare di mia nonna paterna, che non ha mai voluto raccontare, nemmeno ai figli, perché suo padre scappò dalla Spagna lasciandosi dietro terre e possedimenti... Ma il tempo per fare queste domande è ormai passato da un pezzo, e indietro non si torna.

La nostalgia. Il rimpianto. La frustrazione di non aver saputo capire, finché c'era tempo per farlo.


message 13: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Aggiungo una nuova lettura e inserisco il commento di una lettura di luglio che mi ero dimenticata di commentare!
Se ne vanno via la Q e la T!

Ho letto infatti:

- I fiori blu

Alla rilettura di questo colpo di genio assoluto non posso che riconfermare quanto già scritto ai tempi della prima lettura. Credo di essermi divertita ancor più della prima volta e ancor più della prima volta rimpiango di non conoscere il francese per poter leggere Queneau in originale. La traduzione di Calvino è comunque fenomenale e mi sono goduta dalla prima all'ultima riga di giochi lessicali e neologismi improbabili.

--------------

Recensione scritta il: 20/08/2009.

Geniale, semplicemente.
Del resto, non mi aspettavo niente di diverso da Queneau, per di più con traduzione di Italo Calvino. Voglio dire.
Peccato veramente non poterlo apprezzare in lingua originale: è pieno di giochi di parole ed accenni vari che, come Calvino ben spiega nella nota di traduzione, ha dovuto modificare in parte o del tutto per poter ottenere gli stessi effetti - o comunque simili - anche per il lettore italiano.
La trama? E' divertente, piuttosto imprevedibile e si presta a moltissime interpretazioni, per cui stuzzica il cervello in maniera veramente molto molto piacevole. Nella nota finale, poi, Calvino fornisce le principali interpretazioni date all'opera fino a quel momento, il che personalmente mi ha stimolato ancora di più.
E' un libro che comunque si lascia leggere anche solo così, senza impegno: per chi apprezza quel genere di humor è un ottimo passatempo per farsi due risate, se non si ha voglia di lambiccarsi il cervello alla ricerca dei significati.
Ottima lettura. La quarta [quinta, ormai] stellina manca semplicemente perché non posso - almeno io, e almeno per ora - apprezzarlo appieno in lingua originale.

- Le sette morti di Evelyn Hardcastle

Devo ammettere che per il primo centinaio di pagine ero piuttosto perplessa, nel senso che non riuscivo a capire se quello che leggevo mi stava davvero piacendo oppure no. L'inizio è piuttosto oscuro, perché il lettore viene bruscamente messo nei panni di un uomo che ha perso la memoria, e che dunque non sa nulla di quanto gli accade né riconosce i luoghi in cui si muove o le persone con cui interagisce. Se a ciò aggiungiamo il fatto che i personaggi che entrano in scena, già nei primi capitoli, sono tantissimi, la confusione aumenta. Tuttavia, l'espediente narrativo della perdita di memoria e dunque la perfetta coincidenza tra quanto sa il lettore e quanto sa il protagonista mi piace moltissimo, e la curiosità su come le cose sarebbero andate avanti era tanta e continuava a crescere ad ogni nuovo tassello inserito nel puzzle, per farsi poi ancora più grande nel momento in cui, nel romanzo, ci vengono spiegate "le regole del gioco".
Neanche a quel punto, però, ero ancora pienamente convinta del romanzo perché c'era qualcosa che non tornava in queste regole del gioco, e temevo - anche a causa di alcuni pareri non proprio entusiasti letti sul libro - che nel finale i fili non si sarebbero annodati per bene, che l'autore avrebbe sfruttato l'elemento fantastico come mero espediente per far tornare i conti.
E però... non potevo staccarmi dalle pagine, dovevo sapere come continuava, dovevo capire, dovevo assolutamente andare aventi...

Dei timori che avevo, il primo è stato completamente sfatato: i tasselli, sul finale, tornano tutti perfettamente a posto; e l'impresa è davvero mirabile, se si considera quanti altri personaggi e complicazioni entrano in gioco nelle ancora quasi 400 pagine successive a quelle che mi avevano lasciato dei dubbi. E se proprio dovessi cercare il pelo nell'uovo, direi semplicemente che i misteri inseriti l'uno dentro l'altro forse, in definitiva, sono un po' troppi; perché, si sa, il troppo storpia, e i colpi di scena negli ultimi capitoli sono davvero tanti... Ma funzionano, si incastrano per bene e sono coerenti con quanto mostrato fino a quel momento e perciò tanto di cappello all'autore!
Resta però vero che l'elemento fantastico è unicamente strumento narrativo, perché del mondo fuori da Blackheath, e soprattutto dei suoi come e dei suoi perché, viene detto così poco... che vien da credere che forse questo mondo non esista concretamente neppure nella mente dell'autore. Ed è un peccato.

Questi i due motivi per cui manca la quinta stellina, ma le altre quattro ci sono tutte perché, lasciando da parte il contorno e concentrandosi sul piatto principale, quest'ultimo mi ha pienamente soddisfatta. Col passare delle pagine, quella moltitudine di personaggi introdotti sin dall'inizio prende vita, corpo, anima, si fa pienamente tridimensionale e pienamente credibile, ognuno con le sue storie, i suoi motivi, le sue sfaccettature e i suoi segreti. Ma, soprattutto, è un romanzo indubbiamente originale nell'idea di partenza e nella struttura narrativa che inevitabilmente ne consegue, e che viene portata avanti, a mio avviso, senza sbavature e che lo trasforma, man mano che si va avanti, in un romanzo corale. L'ho trovato un libro assolutamente coinvolgente, mai noioso e mai banale... e ultimamente è cosa rara.


message 14: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Nuovo aggiornamento per la lettera B di Banini!

La strada perduta è un romanzo molto interessante che sfrutta con sapienza la scelta di un protagonista impopolare, col quale lo stesso lettore fatica a empatizzare. E dal momento che il romanzo è completamente basato sul protagonista è una scelta doppiamente coraggiosa e che ho doppiamente apprezzato.
La trama, infatti, non è altro che un susseguirsi di episodi che riguardano Uziel, angelo decaduto, e che ci mostrano lo svilupparsi della sua ossessione: la caccia ai demoni è il solo scopo della sua esistenza, missione assolutamente prioritaria e imprescindibile che lo porta a mettere in secondo piano qualunque altra cosa, con conseguenze sempre più dannose per Uziel stesso, angelo caduto che continua a cadere. Anche l'immersione nella mente del protagonista si fa sempre più profonda capitolo dopo capitolo, con crescente coinvolgimento del lettore, che vedrà aumentare la propria rabbia e frustrazione davanti alle scelte di Uziel.

Lo stile del romanzo è asciutto, limpido, privo di fronzoli, onesto e brutale come Uziel stesso; uno stile quindi sicuramente appropriato, ma che porta con sé - almeno secondo il mio punto di vista - anche un'assenza di pathos che mi ha reso poco efficaci le scene più tese.

Infine, gli episodi di cui Uziel è protagonista si fanno anche occasione per mostrare al lettore sprazzi dell'ambientazione che l'autore ha creato per i propri romanzi, tutti autoconclusivi e indipendenti l'uno dall'altro e legati tra loro solo dall'ambientazione stessa, dai luoghi in cui si svolgono e da alcuni personaggi ricorrenti. L'ambientazione è in sé molto interessante, ma ne La strada perduta ci viene spiegato molto poco, proprio perché è un romanzo completamente incentrato sul suo protagonista; trovo giusta e apprezzo la scelta (inserire "spiegoni" in questo tipo di racconto sarebbe risultato inevitabilmente forzato e avrebbe avuto quindi poco senso), ma la conseguenza è che alla fine della lettura ci ritroviamo con più domande che risposte, cosa che può non piacere a tutti.


message 15: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Triplo aggiornamento per il mio alfabeto:

I di Iwasaki: Storia proibita di una geisha: una storia vera

Le tre stelle vanno al contenuto interessante e alle tante cose che ho potuto imparare sulle geisha (o meglio, sulle geiko, come vengono chiamate specificamente a Kyoto, e sul loro periodo da apprendista, cioè da maiko), sulla danza giapponese e le scuole di danza di Kyoto, ma soprattutto sul quartiere di Gion, la sua storia, le sue usanze, il suo essere un piccolo mondo a sé stante e il modo in cui ciò influenza fortemente chi vi nasce, vive o lavora.
La forma è povera, come spesso accade alle autobiografie di non-scrittori (il che rende la cosa "perdonabile"): è fin troppo asciutta, manca di pathos, e non sa decidersi tra l'essere autobiografia strettamente personale e l'essere racconto di una professione e del mondo che le ruota intorno; personalmente credo che se il libro si fosse limitato al secondo aspetto sarebbe risultato più gradevole e coerente. La narrazione della vita della protagonista risente dell'assenza di pathos ma anche del fatto che Mineko è stata "un'eletta" sin dal momento in cui è entrata nell'okiya Iwasaki (cioè nella "casa di geishe" gestita dalla famiglia Iwasaki, che la adottò e ne fece sua erede): la bambina è praticamente destinata ad essere la migliore della sua generazione e non c'è alcuna sorpresa nel suo diventarlo ma anzi, forse un po' di "spocchia"; lo svolgersi della storia risente anche, e tanto, dell'intento col quale il libro è stato scritto, ovvero quello di rimarcare le differenze rispetto al racconto romanzato che di questa stessa vita fece Arthur Golden ne Memorie di una Geisha, con tutte le controversie anche legali che ne seguirono; sono sgradevoli i commentini acidi che compaiono qua e là nel testo, quando sarebbe semplicemente bastato mostrare le differenze invece che rimbeccarle.
Quel che cercavo in questa lettura, comunque, era una maggiore conoscenza sul mondo e il ruolo delle geisha e in questo sono stata pienamente accontentata; per me l'aspetto autobiografico era decisamente meno importante e dunque non ho risentito più di tanto dei toni, della mancanza di pathos e degli altri aspetti poco convincenti.

(Decisamente criticabile è invece, sotto tutti gli aspetti, la scelta dell'editore italiano di aggiungere quel "proibita" al titolo, che sembra inseguire quella tendenza scandalistica tutta italiana che... lasciamo stare. Il titolo originale è, semplicemente "Geisha, a life", com'è giusto che sia)

R di Rushdie: Luka e il fuoco della vita
Una piacevole e avvincente storia per ragazzi, straripante di idee più o meno originali e ricca di personaggi stravaganti. Ancora una volta Rushdie ricorre alla famiglia Khalifa per raccontarci una storia sul potere dell'immaginazione e l'importanza delle storie, ma questa volta, a mio avviso, il risultato è meno accattivante e meno riuscito perché il messaggio di fondo è più "generico" (a differenza di Harun e il mar delle storie, che si faceva anche inno alla liberta d'espressione e critica contro la soppressione della stessa).

Indimenticabile comunque la descrizione che Rushdie fa del mondo dei videogiochi:
"Per sua fortuna, Luka viveva in un'epoca in cui un numero pressoché infinito di di realtà parallele aveva invaso il mercato, realtà alternative che venivano vendute come giocattoli. Come tutti quelli che conosceva, Luka era cresciuto distruggendo flotte di navi spaziali; era stato un piccolo idraulico in un viaggio pieno di scossoni attraverso molti livelli tortuosi, ardenti e gorgoglianti per salvare una pudica principessa dal castello di un mostro, ed era stato trasformato in un porcospino rombante, in uno streetfighter picchiaduro e in una rockstar e, avvolto in un mantello col cappuccio, aveva resistito impavido agli assalti di una figura demoniaca con due corna mozze e una faccia rossa e nera che gli saltellava intorno cercando di afferrargli la testa con una spada laser a doppia lama. [...] Come tutti quelli che conosceva, Luka possedeva un vasto assortimento di scatolette tascabili di realtà parallele e trascorreva gran parte del suo tempo libero lasciando il proprio mondo per entrare nei ricchi universi pieni di sfide, di musi e di colori racchiusi in quelle scatole, universi in cui la morte era temporanea ( finché non facevi troppi errori e diventava permanente) e la vita era una cosa che ti veniva miracolosamente garantita perché per puro caso sbattevi la testa contro il mattone giusto, o mangiavi il fungo giusto, o passavi attraverso la cascata magica giusta, e potevi accumulare tante vite quante riuscivi a ottenerne grazie alla combinazione di abilità e fortuna".
Peccato non sia riuscito a sfruttare in modo convincente questo mondo nella narrazione, per quanto ci abbia provato, suddividendo l'avventura in livelli con tanto di savepoint e vite da accumulare e perdere. Il "livello" che più mi è piaciuto è stato senza dubbio quello delle divinità dimenticate, in cui Rushdie si è sbizzarrito coi riferimenti mitologici e religiosi in carrellate forse un po' troppo lunghe, ma spassose.

V di Vonnegut: Piano meccanico
Al terzo Vonnegut che leggo comincio a vedere uno schema ricorrente nel carattere dei suoi protagonisti: uomini buoni ma un po' ingenui, intelligenti, perspicaci e di successo ma umili al punto da non ritenere meritato quel successo (agevolato dalla famiglia) e destinati a mandarlo all'aria. Personalmente, li trovo tutti adorabili, e mi riesce talmente facile empatizzare e simpatizzare con loro che già solo per questo il romanzo finisce inevitabilmente col piacermi.
In questo caso, però, il gradimento è stato leggermente più basso, probabilmente solo perché si tratta del primo romanzo di Vonnegut e si percepisce una certa acerbità. L'avvio della vicenda è lento, molto lento, e lo svolgimento non è brillante come nelle opere successive. Inoltre, la società utopica/distopica descritta non mi è parsa coerente fino in fondo, ma del resto... dubito che l'intento fosse quello di delineare lucidamente una perfetta e inquietante società alternativa, ma semplicemente di provocare. Ed è una provocazione in pieno stile Vonnegut: permeata da una squisita e malinconica ironia dolceamara, che ti fa sorridere nel corso della lettura e riflettere attentamente nei momenti di pausa.
La completa automazione è utopia o distopia? Apparentemente, la prima... se le macchine pensano a tutto, l'uomo ha più tempo per dedicarsi a se stesso. Ma non doversi preoccupare del lavoro è davvero positivo? Oppure, privato del lavoro, l'essere umano finirebbe col sentirsi privato anche della sua utilità?
E assegnare quei pochi lavori rimasti in base al Q.I. individuale, è meritocrazia o quantificazione fine a se stessa? Nel valutare se si è adatti o meno a un determinato incarico, si può davvero prendere in considerazione, della complessa e articolata personalità di un individuo, esclusivamente il Q.I., e lasciare che la selezione sia fatta dalle macchine?
Sono interrogativi validi, di per sé, ancora adesso, ma penso che, se sviluppati oggi invece che negli anni '50, avrebbero avuto sviluppi diversi perché diversi e forse anche superati sono alcuni dei presupposti alla base; penso che ciò che non mi fa considerare credibile e coerente fino in fondo il mondo immaginato da Vonnegut in questo romanzo sia proprio il fatto che il libro è, per tanti aspetti, figlio della sua epoca e soprattutto degli USA di quegli anni, dei suoi proclami, interrogativi, dibattiti, novità. Non si può non apprezzare, però, la sensibilità estrema con cui gli interrogativi di partenza vengono sviluppati - sensibilità che, sin dalla sua opera d'esordio, è marchio distintivo e la qualità che più apprezzo nell'autore.


message 16: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Metto a segno anche la H di Harris con Pompei .

Fosse stato per me, protagonista del romanzo sarebbe stato Plinio (senza il quale, del resto, non sarebbero esistite le fonti che hanno ispirato il romanzo stesso). Mi è piaciuto molto il modo in cui è stato reso il carattere di questo «Stupido vecchio cocciuto» [...] «Splendido, coraggioso, stupido vecchio cocciuto», quintessenza dell'uomo di scienza, che mette quest'ultima e la necessità di testimoniarla e tramandarla prima di ogni altra cosa, pronto per essa a qualsiasi sacrificio.

Ma ahimè il romanzo non ha come protagonista Plinio, bensì un insopportabile perfettino che saltella da Miseno a Pompei a Miseno a Stabia a Pompei come fosse nulla (del resto Attilio non doveva mica prendere la Circumvesuviana! 🤣), che riesce a sopravvivere e a mantenere intatta la propria integrità morale in una società marcia fino al midollo, e al quale ovviamente tutto viene bene al primo colpo.
Trovo che un protagonista del genere e il desiderio di ficcare a tutti i costi nella vicenda una storia d'amore (che mi è parsa quanto mai forzata) appiattiscano notevolmente un romanzo che altrimenti sarebbe stato estremamente interessante; non quello che mi aspettavo, non quello che ci si aspetta a leggere la sinossi, ma comunque estremamente interessante. Sì, il romanzo si svolge nei soli 4 giorni dell'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e sì, assistiamo all'eruzione da molto vicino (ma da una quantità di luoghi diversi che boh, era davvero necessario?), eppure.... eppure, stranamente, non è l'eruzione ad essere al centro della vicenda. Per la prima metà del romanzo ci troviamo infatti davanti a una sorta di giallo storico nel quale Attilio cerca di capire perché l'acquedotto non funzioni correttamente, cosa sia accaduto all'acquarius (ingegnere addetto alla manutenzione degli acquedotti romani) di cui ha preso il posto e quale sia la ragione degli strani fenomeni naturali che si stanno verificando negli ultimi giorni. Ho trovato la ricerca davvero appassionante, nonostante i molti dettagli tecnici sul funzionamento degli acquedotti romani e le citazioni da Varrone che sì, potrebbero sembrare noiosi ma no, per me non lo sono stati affatto (soprattutto dal momento in cui entra in scena Plinio). Nel momento in cui si arriva a Pompei, poi, ci viene messo davanti agli occhi un interessante scorcio della corruzione politica romana e pompeiana e della vivacità e della ricchezza della città a quei tempi, cambiando toni e ritmo. Questi ultimi cambiano poi di nuovo nel momento in cui inizia l'eruzione e tutto si fa inevitabilmente confuso (anche perché si comincia a saltellare da un'estremità all'altra del golfo di Napoli manco fosse una pozzanghera), la trama si sfilaccia, sembra che tutto quanto accaduto prima non conti (giustamente) più nulla... e invece... non continuo perché sarebbe spoiler, ma comunque tutti i nodi si riallacciano in un modo che ho trovato forzato e poco realistico.

Assegno comunque tre stelle al romanzo perché la ricostruzione storica è comunque molto buona, perché sono riuscita facilmente ad appassionarmi agli aspetti scientifici e naturalistici della vicenda, e per Plinio. Il problema sono trama e protagonisti, così poco credibili soprattutto nel momento in cui vengono applicati a uno sfondo storico che è invece molto accurato e ben fatto.

Angolino egocentrico delle recensioni di Drilli:
La lettura di questo libro mi ha dato un'altra missione per quando, dopo la pensione, troverò il tempo di mettermi a scrivere: un romanzo storico su Plinio Il Vecchio 🤩 (che si aggiunge a una lista già lunghissima e che dunque probabilmente non verrà mai compiuta, ma l'importante è crederci) Per fortuna lavoro nella biblioteca giusta per raccogliere tutti i materiali necessari e ho già adocchiato un interessantissimo testo di partenza, che mi sono ritrovata tra i nuovi arrivi, manco a farlo apposta, proprio pochi giorni dopo aver concluso la lettura del romanzo... 😜


message 17: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Letta anche la N!

Le bugie del mare
E' il secondo romanzo della Nashiki che leggo e anche in questo caso la sua scrittura ha avuto su di me l'effetto di una carezza rassicurante; la lettura di questo libro è stato un piccolo e prezioso toccasana che mi ha rasserenato l'animo. Non ho mai partecipato a una sessione di meditazione, ma nel mio immaginario dovrebbe offrire sensazioni simili a quelle che mi ha donato questa lettura. Del resto, allo stesso protagonista, verso la fine del libro, viene suggerito come la sua esperienza nei boschi possa essere paragonabile a un percorso di morte e rinascita secondo la dottrina buddhista dei Dieci stadi dell'esistenza.
"Il cammino in montagna, a seconda dello stato spirituale di chi lo pratica, può essere un modo per affrontare le dieci fasi di cui le ho parlato. Quei dieci mondi si trovano dentro ognuno di noi, noi che siamo ciascuno diverso dall'altro ma che li possediamo nella nostra interiorità"
E questo cammino in montagna noi lettori lo percorriamo insieme con Akino, con un'immersione nella natura rigogliosa dell'isola che, nel mio caso, è stata totale.

A differenza de Un'estate con la strega dell'ovest, Le bugie del mare è un romanzo probabilmente meno affine ai gusti del "palato occidentale", perché è un testo molto "giapponese". Si ambienta nella (immaginaria) isola di Osojima, "l'isola lenta". Lenta com'è lento un cammino in montagna, lenta com'è lenta la raccolta di dati e informazioni per una ricerca, lenta com'è lento il processo di piena conoscenza e consapevolezza di se stessi, lenta com'è lento il tempo a curare le ferite. Questi sono i temi di cui tratta il romanzo e di conseguenza la lentezza permea le sue pagine. Si tratta di una "lentezza positiva", ma che a molti può comunque non piacere.
Una trama esiste, ma è labile e non è affatto l'elemento più importante del libro, anzi è piuttosto un pretesto. Partendo infatti dal "pretesto" della ricerca accademica del protagonista, che indaga sulle tradizioni dell'isola di Osojima e sul suo passato, il romanzo ci offre in realtà un'immersione totale nella Natura - una natura assolutamente benevola, che dà pace, protezione, benessere, ma che noi dobbiamo tutelare e proteggere - ma ci offre anche una riflessione su buddhismo e shintoismo, spiritualità, tolleranza religiosa. Infine, nell'ultimo (bellissimo) capitolo, che si svolge 50 anni dopo, ci porta anche a ragionare sulle conseguenze del tempo che passa, sui mutamenti spesso repentini della società e dell'ambiente che ci circonda, sull'importanza della memoria storica, sullo sfruttamento e la tutela dei beni naturali e archeologici, su quanto talvolta il singolo può o potrebbe fare su tutti questi punti.

E ogni volta che un libro riesce al tempo stesso a rilassarmi (intrattenendomi, in questo caso, non con una trama avvincente ma grazie alla sua capacità di trasportarmi con la mente in una meravigliosa isola che "straborda di un'energia vitale che non cessa mai di esplodere") e offrirmi numerosi spunti di riflessione... lo promuovo. Se poi riesce anche, come in questo caso, a "coccolarmi"... lo promuovo a maggior ragione.
Tuttavia non lo consiglierei - o almeno non a chiunque - perché resta comunque un libro particolare, atipico, e non adatto al palato di tutti, mentre consiglierei un approccio all'autrice. Se in Italia pubblicheranno altro della Nashiki... mi affretterò a procurarmelo.


message 18: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Faccio qualche sostituzione per libri che sono già sicura di non riuscire a leggere entro l'anno... quest'anno non è andata molto bene, ho deviato troppo spesso dai programmi di gennaio e in generale ho letto meno degli scorsi due anni 😢

SOSTITUISCO:

LETTERA G: cambio con Goncharov Ivan, Ninfodora Ivánovna

Un piccolo gioiellino che sono molto contenta di aver scoperto per puro caso.
Sono praticamente digiuna di letteratura russa e non sapevo nulla di questo romanzo breve, ma ne avevo letto un bel commento l'anno scorso che mi ha molto incuriosita, e dato che mi tornava utile per una challenge l'ho preso al volo e letto in poche ore.

Sin dalle prime righe sono stata colpita dallo stile, scorrevole ma curato, fresco ma mai banale. Non so quanto sia merito dell'autore e quanto del traduttore, ma resta il fatto che mi ha catturata subito. Mi è poi piaciuta moltissimo l'ironia che l'autore usa per presentarci i suoi personaggi e le loro vicende, che è fresca, pungente, sottile e soprattutto perfettamente comprensibile anche per chi, come me, conosce poco il contesto storico e sociale in cui il romanzo si ambienta. Nonostante la brevità e il tono ironico, poi, la caratterizzazione dei personaggi è profonda e incisiva. In più, anche se solitamente non amo le intromissioni dell'autore nel racconto, in questo caso sono tutte così brevi e divertenti che non solo le ho perdonate, ma le ho anche gradite.

Non so quante caratteristiche in comune ci siano tra quest'opera prima e Oblomov, che è definito il capolavoro di Goncharov, ma in ogni caso lo metto di sicuro in lista per il futuro!

Punti: 1 LL + 1 E = 2 punti

LETTERA L: cambio con London Jack, La figlia delle nevi

La sinossi, confermata dalla lettura dei primi capitoli, mi aveva esaltata: l'avventura della caccia all'oro, la natura selvaggia, una protagonista donna fuori dagli schemi, forte, orgogliosa e indipendente che riesce a muoversi come (e a volte meglio) degli uomini in un mondo che ai tempi era di loro esclusivo appannaggio... Peccato che poi le aspettative non siano state mantenute. La trama cambia: dopo l'arrivo a Dawson la natura resta sullo sfondo e al centro della storia ci finisce un triangolo amoroso, la protagonista si dimostra incoerente e l'autore mette in bocca ai personaggi discorsi misogini e razzisti che peggiorano le cose.
Resta un romanzo godibile, scritto in modo molto scorrevole e che presenta capitoli davvero degni di nota (come quello della traversata dello Yukon che ha appena rotto i ghiacci), ma il problema fondamentale, a mio avviso, è che in questo primo romanzo London abbia voluto cimentarsi con troppe cose insieme: il romanzo d'avventura, il romanzo d'amore, e negli ultimi capitoli persino col romanzo giudiziario; opta per una protagonista che vorrebbe probabilmente essere femminista, ma che in svariati episodi sembra solo dimostrare il misoginismo imperante all'epoca, e che pur essendo stata cresciuta con gli indiani si lancia in discorsi sulla supremazia della razza bianca... Insomma, un romanzo acerbo di uno scrittore che non aveva ancora le idee chiare e che, pur mostrando altissimo potenziale, non si dimostra ancora in grado di gestire trama, personaggi e tematiche.

Punti: 1 LL = 1 punto

LETTERA W: cambio con Wilde Oscar, L'importanza di chiamarsi Ernesto

JACK: Oh, that's nonsense, Algy. You never talk anything but nonsense.
ALGERNON: Nobody ever does.


Sono molto felice di essermi finalmente decisa a leggere per intero questa commedia (che ai tempi della scuola avevo sempre solo letto a spezzoni e brani), perché è semplicemente... brillante. Non annoia mai, neppure per un momento, dalla prima all'ultima riga; nessuna battuta è di troppo, o fuori tono. Leggere quest'opera è tutto sorrisi e risate dall'inizio alla fine, in un continuo prendersi gioco, con perfetto british humour e senza sconto alcuno, di ogni possibile aspetto e convenzione sociale dell'Inghilterra vittoriana. Semplicemente meravigliosa!

Punti: 1 LL + 1 E + 1 LS (ne ho letto un'edizione con testo a fronte ma l'ho letto in inglese, usando il testo in italiano solo di tanto in tanto per controllare se avevo colto tutto) = 3 punti

LETTERA Y: cambio con Yoshida Shuici, Appartamento 401

...torno più tardi col commento...


message 19: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Rieccomi a commentare la Y e anche la U.

Y di Yoshida: Appartamento 401

Quella che viveva lì con loro era la "me dell'appartamento" [...] La vera me, in quell'appartamento, non esisteva. La me che andava d'accordo con gli altri coinquilini (Ryosuke, Koto, Naoki e Satoru) era la "me dell'appartamento". Ma forse anche loro si erano inventati la loro versione "dell'appartamento". E quindi in realtà non esistevano neanche loro, e quindi nell'appartamento non c'era nessuno.

Il libro mi è piaciuto molto, più di quanto mi sarei aspettata in base alla sinossi e alle recensioni lette finora. Avevo infatti il timore che potesse essere noioso, oppure lento, e invece sono stata trascinata sin da subito nelle vite dei 5 protagonisti, a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo, scritto dal suo punto di vista.
E col primo cambio di punto di vista, ovvero all'inizio del secondo capitolo, mi sono ritrovata ancora più coinvolta, perché mi sono subito resa conto che il punto di forza del romanzo è proprio lì: ci mostra tutti e cinque i protagonisti dal punto di vista di ciascuno degli altri. Al terzo capitolo, poi, mi sono resa conto di quanto quello non fosse solo il punto di forza del romanzo, ma proprio la chiave attorno cui ruotano il libro stesso, il suo significato e il messaggio che vuole lanciare.
Un messaggio estremamente simile a quello pirandelliano delle maschere: ognuno di noi, nella vita, interpreta vari ruoli a seconda del contesto, delle persone con cui interagisce e anche a seconda dell'immagine che di volta in volta si crea di se stesso; a ciò si unisce il fatto che la percezione di noi che hanno le altre persone cambia a sua volta in base a chi ci troviamo di fronte per cui, oltre alle maschere che noi stessi indossiamo, ci sono quelle che gli altri ci affibbiano.

Nel libro i cinque protagonisti recitano il ruolo dei "coinquilini dell'appartamento 401" che "giocano a fare gli amici", ed è proprio grazie al fatto che li osserviamo tutti dal punto di vista di ciascuno degli altri che ci rendiamo conto di quanto ciò sia vero e di quante diverse versioni esistano dei singoli personaggi. Trovo che l'autore sia stato veramente bravo a sfruttare questo espediente, che rende estremamente interessante una trama che, come in tanti altri romanzi giapponesi è di per sé molto "labile".
Ma penso anche che l'autore abbia scelto molto bene l'ordine in cui questi diversi punti di vista si presentano, i quali, almeno secondo me, vanno in crescendo: Ryosuke è il personaggio in cui la distanza tra come lui vede se stesso e come lo vedono gli altri è minore, ma è anche minore il grado di... - chiamiamola così per semplicità - stravaganza del personaggio in sé.
Questo ha come aspetto negativo che si capisce presto chi è "il colpevole", perché... (view spoiler).
Ma ha come aspetto positivo (quantomeno secondo me) una costante e anzi crescente curiosità nei confronti dei capitoli successivi - e infatti ho letteralmente divorato l'ultimo. Ma ci ho trovato anche un secondo aspetto positivo, ovvero il fatto che offre una chiave interpretativa al romanzo (diversamente da quanto accade in molti romanzi giapponesi) e permette di dare a ciò che stiamo leggendo un senso più ampio del semplice "assistiamo alle vite di 4 tizi disadattati".

Una cosa che mi è piaciuta meno è che, nonostante fossi partita consapevole che, in quanto romanzo giapponese, molto probabilmente non sarebbe accaduto nulla o quasi, in diversi punti il romanzo ti dà l'impressione che qualcosa invece accadrà... e alla fine... niente, succede davvero qualcosa solo nelle ultimissime pagine. E quindi non è giusto illudermi così, ecco.
E anche il finale, così sospeso, in un primo momento mi ha lasciata insoddisfatta e irritata. Ma poi, ragionandoci su a mente fredda, mi sono resa conto che ha una sua coerenza interna e me lo sono fatta andare bene così (del resto, anno dopo anno, i finali sospesi mi danno sempre meno fastidio).

U di Ueda: Racconti della pioggia di primavera

La lettura di questa raccolta di racconti è stata un po' deludente, ma il motivo principale è la falsa aspettativa che mi ero creata per assenza di ricerca approfondita; pensavo, infatti, che si trattasse di una sorta di "seguito" di Racconti di pioggia e di luna e che dunque anche in questa raccolta il fantastico e il surreale la facessero da padroni. Invece, purtroppo, compaiono in maniera del tutto marginale e solo in alcuni racconti. Mi sono comunque piaciute alcune delle ultime storie (Il sorriso della morta, Suteishimaru, La tomba di Miyagi, ma soprattutto il picaresco ed elaborato Hankai) che hanno protagonisti dalla forte personalità e singole scene che restano bene impressi nella memoria, ma mi hanno molto annoiata i primi, di carattere storico e improntati sull'importanza della poesia e l'influenza della corte cinese su quelle giapponesi. L'edizione della Marsilio presenta utilissime note esplicative per ogni riferimento a personaggi storici, poeti e opere citate, ma la quantità di questi riferimenti, nei primi racconti, è di per sé eccessiva e rallenta moltissimo una lettura che altrimenti sarebbe rapida e scorrevole, e in ogni caso inficia la piena comprensione della storia a meno che non si sia esperti di storia e letteratura cinesi e giapponesi. Ho trovato molto interessante la velata satira alla religione buddhista (e alle sue varie "correnti"), nei confronti della quale l'autore si mostra molto oggettivo, sottolineandone gli aspetti positivi ma prendendosi anche gioco delle ipocrisie talvolta presenti; molto meno piacevole è la pedanteria che lo stesso autore assume quando parla invece di poesia e letteratura.


message 20: by Drilli (new)

Drilli | 5052 comments Aggiorno con un po' di ritardo anche l'ultima lettura, quella della lettera X! Non concludo, purtroppo, l'alfabeto, nonostante i cambi, ma dai, non è andata troppo male :)

Fuga sulla luna e altre antiche storie rinarrate
Non assegno stelline perché non mi sento in grado di dare un voto per carenza di conoscenze pregresse, a mio avviso necessarie per comprendere e apprezzare il testo.
Trattandosi di "antiche storie rinarrate" mi aspettavo di poter scoprire un po' di miti e racconti cinesi scritti però in uno stile moderno, così da poterli assaporare meglio, vista la mia quasi totale ignoranza in materia. Tuttavia, l'intento satirico col quale questi racconti furono scritti, e dunque il legame e i riferimenti sottintesi con l'epoca contemporanea all'autore (quella della Rivoluzione Culturale) mi hanno in realtà lasciato la sensazione di non poter raggiungere e afferare davvero quanto stavo leggendo, non senza una preparazione adeguata. Le introduzioni e le note che accompagnano quest'edizione sono utili ma non esaustive, e alla fine mi hanno portata a fare solo ulteriore confusione.
I racconti, presi di per sé, sono carini e godibili ma hanno comunque un "sapore antico" e sono talmente ricchi di riferimenti che è facile perdersi e personalmente ho fatto fatica a cogliere senso e messaggio di tutti. Mi sono piaciuti soprattutto gli ultimi, che hanno come protagonisti filosofi e pensatori, e in particolare "Opporsi all'aggressione", forse perché hanno significati più universali e meno legati al contesto storico e culturale cinese, per cui sono riuscita a capirli e ad apprezzarli anche nella mia ignoranza.
Mi sa che il prossimo tentativo con le antiche storie cinesi sarà con qualcosa di più specificamente legato alla mitologia e scritto con intento esplicitamente divulgativo, così magari inizierò a imparare qualcosa!


back to top