Roberto Saviano's Blog
July 29, 2016
Se diventa invincibile la paura di vivere
Twitter. Cerca. Tendenze. #PrayFor. Germany, Orlando, Nice, Munich, France, Kabul. Dato per scontato ormai il trattamento diverso che riserviamo a chi muore in quello che riconosciamo come il nostro mondo, rispetto a chi muore in un mondo che in fondo vediamo solo attraverso le cronache di guerra, stiamo attenti a non farci bastare un hashtag per credere assolto il nostro compito della comprensione. Pregare per, anche simbolicamente, è solo il primo passo verso un’analisi più approfondita perché comprendere significa innanzitutto trovare le differenze e non le similitudini.
Dall’attacco alla redazione di Charlie Hebdo siamo entrati in una spirale di terrore che non ci consente più di ragionare su nulla. Molti hanno paura a programmare un viaggio, molti – talvolta giustamente – mettono in discussione la capacità delle agenzie di intelligence di poter, se non prevedere, almeno far fronte a una esplosione di violenza che è tanto ingiustificata quanto eclatante e che, a Nizza, come sembra, poteva essere evitata. Per il Bataclan c’è chi ha addirittura riferito di un mancato coordinamento tra governo nazionale e amministrazione cittadina per un intervento tempestivo delle forze dell’ordine, che avrebbe forse ridotto il numero delle vittime.
Da un lato, quindi, folli disadattati che mettono in ginocchio i nostri nervi e la nostra capacità di provare empatia e di non sentirci perennemente sotto attacco, dall’altro una serie di “leggerezze” che ci dicono molto su un dato: alla paura crescente di vivere – perché è ovvio che se ho paura di uscire, di prendere la metro, di andare in un ristorante, a un concerto o allo stadio, non ho paura di morire, ma proprio di vivere – non fa fronte la capacità di chi gestisce la pubblica sicurezza di comprendere che stiamo vivendo una guerra che però è assai diversa dalle guerre che conosciamo.
È una guerra che non porterà, come molti preconizzano a ogni attentato, alla terza guerra mondiale, che non porterà a ripristinare la coscrizione obbligatoria, ma che erode la nostra capacità di comprendere da chi dobbiamo difenderci e come.
La parlamentare britannica Jo Cox, assassinata poco prima che si votasse per la Brexit, era stata minacciata di morte ma non era sotto protezione. Quando qualche mese prima che avvenisse l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo andai in Francia, mi fu sussurrato, in maniera sibillina, che “quelli di Charlie” facevano pubblicità delle minacce pur non correndo alcun rischio.
Ho provato inutilmente a far presente come anche in Italia ci sia chi mi considera un fake, ma ci ha pensato poi la storia a dar torto al pettegolezzo. Spesso abbiamo davanti chiaro ciò che sta accadendo e anche una possibile traccia di azione, ma abbiamo gli occhi pieni di lacrime o di livore per poter leggere i fatti.
La strage di Monaco ha molto più in comune con Columbine che con gli attacchi terroristici rivendicati dallo Stato islamico e mentre scrivo sono diventati di tendenza due nuovi hashtag: #PrayForFlorida e #FortMyers per la sparatoria in un night club durante una teen night. 2 morti e 20 feriti.
Quando questo mio articolo sarà pubblicato sapremo tutto. Sapremo se a sparare sono stati in due o in tre. Se le due sparatorie di cui parlano a Fort Myers sono collegate. Avremo modo di indagare la nazionalità di chi ha sparato. Di scandagliare la loro vita privata: erano soddisfatti? Vittime di bullismo? Erano in cura psichiatrica? Erano gay repressi e per questo omofobici? Gli era stato rifiutato il permesso di soggiorno, quindi erano carichi di risentimento?
Ma una domanda su tutte ce la dobbiamo fare. Dove hanno preso le armi? Come hanno costruito le bombe? Questa è la traccia e non le intenzioni, ma l’effettiva capacità di mettere in atto un disegno criminale grazie alla possibilità di reperire armi.
E allora mi sembra emblematica la vicenda di Monaco. Uno studente diciottenne della Realschule, che vive in un quartiere niente affatto periferico, figlio di una commessa e di un tassista immigrati negli anni Novanta dall’Iran fa una strage in un centro commerciale. Chi non ha pensato a Is? Eppure con Is non c’entrava nulla. Abbiamo dovuto leggerlo nero su bianco, anche se avremmo potuto capirlo immediatamente dato che in Iran il 95 per cento degli abitanti sono sciiti, i primi cioè che il jihadismo sunnita colpisce.
Resta quindi un interrogativo, l’unico: possibile sia così facile comprare un’arma su Internet?
Per capire ciò che accade serve una buona dose di onestà.
Quanta grettezza in quegli articoli, quasi quotidiani, che mettono in relazione ogni scippo, ogni rapina, ogni tentativo di furto, ogni omicidio con Gomorra – La serie.
Talvolta penso che si critichi Gomorra solo per criticare me oppure è solo clickbaiting: “Rapinavano come in Gomorra. Guardate…” e segue una cronaca che con Gomorra non ha nulla a che fare.
Poi leggo articoli come quello pubblicato da EQView.com (a fresh LGBTQ magazine with a lot of heart, come si definisce) e penso che per capire ciò che accade da noi serve una buona dose di onestà.
«Gomorra rappresenta la violenza per quello che è nella vita reale: terribile. Mai è raffigurata come necessaria, eroica, o anche visivamente soddisfacente. La violenza compare a sangue freddo, mettendo le azioni dei personaggi nella loro giusta luce. Ciro e Genny agiscono impunemente e li vediamo per quello che sono: egoisti e patetici, mai come duri e puri».
Qui l’articolo completo.
July 28, 2016
“Un vuoto dove passa ogni cosa”: politica, letteratura e vita
Di Mariateresa Di Lascia conosciamo “Passaggio in ombra” che nel 1995, ovvero un anno dopo la morte della sua autrice, vinse il Premio Strega.
La vita di Mariateresa Di Lascia, assai breve, è morta a soli 40 anni, è stata però piena, di quella pienezza che piace a me. Una pienezza fatta di impegno, di consapevolezza, di rapporti personali, di lotte anche impopolari. Di opinioni non facili da sostenere. Di politica e di scrittura.
È uscito da pochi mesi, per le Edizioni dell’Asino, “Un vuoto dove passa ogni cosa“, interventi, articoli, lettere e racconti di Mariateresa Di Lascia. Un amico me lo ha fatto avere e lo ringrazio tantissimo perché questa lettura ha arricchito la mia vita.
E il libro mi è arrivato con una introduzione inaspettata che mi ha spinto a leggerlo senza indugio. È di Goffredo Fofi e queste sono le prime righe e le ultime:
“Non ho trovato la recensione di “Passaggio in ombra” che scrissi nel 1994 o 1995 quando uscì da Feltrinelli, sorpreso dalla forza di un romanzo che affrontava nodi familiari e culturali, storici e sociali importanti con una sorprendente maturità. Non era certamente l’opera di un letterato come ce n’erano e ce ne sono tanti, esprimeva una ricerca e un vissuto, dimostrava una maturità davvero insolita per un’esordiente – anche se si trattava di una persona, come ci diceva il risvolto con la tradizionale notizia sull’autore, che aveva molto vissuto e molto lottato.
Lo considero ancora uno dei capisaldi del romanzo italiano di quegli anni e lo vedo, pur con la sua differenza, vicino all’opera di due scrittrici napoletane più segnate di lei dalla storia della città, Fabrizia Ramondino, venuta prima, ed Elena Ferrante, venuta dopo (loro più metropolitane, lei più ampiamente meridionale, e “contadina”).
Non era possibile rimediare, Mariateresa era morta, e me ne venne un rimpianto di non averla conosciuta che si accrebbe quando fui chiamato a presentare il libro, a Napoli dove ero di casa, insieme a un grande amico e maggiore, Gustavo Herling, e c’erano sua moglie Lidia e sua figlia Marta testimoni di una lunga amicizia con Mariateresa, c’era Sergio D’Elia, il compagno con cui aveva diviso le battaglie di “Nessuno tocchi Caino”, che interrogai a lungo su di lei a presentazione conclusa, a un tavolino di un bar di piazza Dante.
Come era stato possibile che non l’avessi conosciuta? mi chiesi. Prestavo di solito molta attenzione a ciò che si muoveva in quella città così amata e vissuta, e in cui avevo lottato anch’io con tanti amici e con tante amiche, da Vera Lombardi a Fabrizia Ramondino alle ragazze della Mensa Bambini Proletari di Montesanto a tante ostinate e pugnaci compagne, di formazione intellettuale ma anche davvero “di base”, eppure Mariateresa non l’avevo conosciuta. […]
Grazie ai testi raccolti da Antonella Soldo (in “Un vuoto dove passa ogni cosa”) abbiamo la piena coscienza di ciò che abbiamo perduto, ma abbiamo un modo per rimediare, non solo contribuendo alla loro diffusione, ma soprattutto ragionandoci sopra in rapporto a quello che ancora possiamo e dobbiamo fare, nel segno di un radicalismo esigente e tuttavia il più possibile puro, e cioè liberato dai ricatti della politica e dalla miseria di un pensiero che non sappia farsi carne e cioè azione, cambiamento intimo di ciascuno e cambiamento collettivo”.
Fabrizio Pellegrini, in carcere. La sua colpa? Voler vivere
Fabrizio Pellegrini è un pianista di 47 anni, malato di fibromialgia. La fibromialgia o sindrome di Atlante, porta dolori muscolari fortissimi, porta insonnia, spossatezza e scarsa produzione di serotonina.
La ministra Lorenzin magari concorderà con quella minoranza di medici che ritengono i malati di fibromialgia “ipocondriaci o depressi” e che definiscono la fibromialgia “una sindrome psicosomatica”. Faccio notare alla ministra, qualora volesse sposare questa ipotesi, che nella voce Wikipedia che descrive la fibromialgia, è senza fonte.
Fabrizio Pellegrini per alleviare i dolori causati dalla patologia da cui è affetto, potrebbe avere accesso all’uso della cannabis terapeutica che proprio in Abruzzo, regione in cui è residente, dovrebbe essere a carico del servizio sanitario regionale.
Ma nonostante il fondo di 50mila euro stanziato per offrire questo tipo di cure a chi ne avesse necessità, la legge è disattesa e il costo mensile del servizio per Pellegrini sarebbe di 500 euro, da anticipare per l’acquisto di sostanze provenienti dall’Olanda.
Non è chiaro perché non si possa coltivare la cannabis in Italia e si debba importare dall’Olanda ed è invece chiarissimo che 500 euro al mese equivalgono a un mutuo, a un affitto, cifra folle che sarebbero in pochi a potersi permettere.
Pellegrini è tra coloro che non possono permettersi questa spesa, benché necessaria, direi vitale. Dunque decide di piantare della marijuana, per questo viene arrestato, e dall’11 giugno è detenuto nel carcere di Chieti dove le sue condizioni sono notevolmente peggiorate. Per alleviare il dolore deve assumere farmaci perché in stato di reclusione non è possibile somministrare cannabinoidi. Ma Pellegrini ha un’allergia certificata ai cortisonici e agli antidolorifici, quindi medicinali a base di cannabinoidi sarebbero l’unico rimedio efficace per la sua patologia.
È notizia di oggi che anche in Lombardia (grazie a un odg proposto dal M5S) saranno stanziate risorse per finanziare la sperimentazione dei farmaci cannabinoidi per i malati di Sla e sclerosi multipla, speriamo non resti anche lì una legge regionale bella ma inapplicata.
Intanto Pellegrini è detenuto, nonostante la sua incompatibilità con il regime carcerario: sarebbe necessaria una perizia, che però non viene disposta e resta vittima di un sistema che si alimenta di sofferenze e di infelicità.
Una politica il cui fine non è la felicità dei cittadini (vedi le posizioni delle Lorenzin, dei Gasparri e dei Giovanardi in materia di fine-vita, di aborto, di fecondazione eterologa e di maternità surrogata) è una politica abominevole, che faccio difficoltà a pensare sia utile e perfino a definire politica.
I giorni dell’oro, i giorni delle imprese impossibili
Fa piacere leggere di sport e vita. Bello seguire vite possibili e in sottofondo percepire l’eco di vite realmente vissute.
Nei “Giorni dell’oro“, Francesco Pinto racconta l’Italia delle Olimpiadi di Roma del 1960, l’Italia delle tensioni della Guerra Fredda, la Germania divisa, L’etiope Bikila che arriva primo alla maratona correndo a piedi nudi e Berruti che a 21 anni, con la sua medaglia d’oro, regala il podio all’Italia.
E poi ci sono Pietro, Vittorio ed Elsa, un commissario di polizia, un cronista sportivo comunista e una interprete ufficiale del CONI, loro non esistono, eppure sembra di conoscerli davvero.
Questo romanzo sorprendente ci porta indietro nel tempo, a un tempo in cui, come scrive Pinto in uno dei due esergo, “si facevano le imprese impossibili“.
July 27, 2016
La produzione di cannabis finanzia il terrorismo
La Direzione Nazionale Antimafia è in Italia l’organo con maggiori competenze in materia di criminalità organizzata e quindi di traffico di stupefacenti.
Secondo la DNA, le droghe generano per le mafie ricavi maggiori rispetto a estorsioni, sfruttamento sessuale e contraffazione (dove Gasparri abbia tratto quell’1% sarebbe interessante capirlo).
Volendo ricevere informazioni dettagliate è alla DNA che la politica dovrebbe rivolgersi. Ed ecco cosa scrive la DNA in un recentissimo documento diffuso il 20/06/2016 di osservazioni sulla proposta di legalizzazione della cannabis.
1) le mafie nazionali e internazionali hanno un posizione di sostanziale monopolio nella gestione dei traffici di stupefacenti, e fra questi anche in quello della cannabis;
2) la crescente domanda di cannabis ha trovato una pronta risposta, nella straordinaria, nuova, produzione afgana.
E queste due cose importanti, ne dimostrano a loro volta altre due di cui, nella presente valutazione, non può non tenersi conto:
1) che il traffico di stupefacenti, compreso quello della cannabis, alimenta e moltiplica le risorse finanziari delle organizzazioni di tipo mafioso (nazionali e non) e dunque, fra l’altro, la loro capacità di condizionamento ed inquinamento dell’economia legale;
2) che una fondamentale area della produzione di cannabis, quella afgana, è controllata da gruppi fondamentalisti e terroristi, il che equivale a dire che la produzione di cannabis è una delle fonti di finanziamento del terrorismo.
Napolislam
Oggi più di ieri è necessario comprendere l’universo dell’Islam e saper cogliere le differenze che esistono al suo interno.
Se, ad esempio, riguardo alla strage di Monaco ci fossimo soffermati sulla nazionalità della famiglia del ragazzo autore della strage, avremmo capito immediatamente che Isis e il fondamentalismo islamico non potevano essere la matrice di quell’ennesimo orrore.
In Iran il 95% degli abitanti sono sciiti, i primi cioè che il jihadismo sunnita colpisce.
Esattamente un anno fa scrissi un articolo (eccolo) su un documentario che mi aveva molto colpito: Napolislam di Ernesto Pagano.
Oggi vi consiglio di leggere il libro, cambierà per sempre la percezione che avete dell’Islam e dell’Italia.
Ecco come i proibizionisti speculano sulla memoria di Paolo Borsellino
Quando Paolo Borsellino viene citato, fuori da ogni contesto (e per contesto intendo anche il momento storico in cui ha parlato di legalizzazione delle droghe: pensate solo che Borsellino giustamente, trenta anni fa, parlava dei trafficanti di droga come evoluzione vicinissima ai contrabbandieri di sigarette… ne ha fatta di strada la mafia da allora) per difendere le più ignoranti e reazionarie tesi proibizioniste, sparando percentuali a caso e chiamando i consumatori “i nostri bambini” senza avere nemmeno lontanamente idea di chi siano questi bambini, di come e dove vivano, mi si torcono le budella.
Era il 1989 e Paolo Borsellino disse esattamente questo:
“Non bisogna stabilire una relazione assoluta tra mafia e traffico degli stupefacenti, la mafia esisteva ancora prima e probabilmente, se mai dovesse scomparire il traffico di stupefacenti, la mafia esisterà anche dopo. […] È da dilettanti di criminologia pensare che legalizzando il traffico di droga, sparirebbe del tutto il traffico clandestino”.
Lorenzin, Gasparri, Giovanardi, Lupi e chiunque citi Borsellino senza conoscere le mafie di oggi e la loro evoluzione, chiunque citi Borsellino sparando cifre ed età per impressionare senza informare, sta vergognosamente speculando sulla sua memoria.
Memoria e parole che sistematicamente tradiscono, ignorando quanto Borsellino diceva sulla selezione della classe politica.
July 25, 2016
“I vantaggi della legalizzazione della cannabis”
Il parlamento inizia a discutere la proposta di legge sulle droghe leggere.
In questo video racconto perché la legalizzazione della cannabis può indebolire mafie e terrorismo.
“Legalizzare la cannabis per un Paese migliore”
Lancio questa provocazione nel giorno in cui in Italia si discute in Parlamento della proposta di legge presentata da oltre 200 onorevoli di diversi partiti.
Le droghe leggere oggi sono merce di scambio tra organizzazioni terroristiche e organizzazioni mafiose. Terroristi vendono droghe alle mafie che in cambio danno denaro o armi.
E in Europa il mercato delle armi, che è illegale, lo gestiscono le organizzazioni criminali. Legalizzare è un atto di responsabilità oggi più che mai.
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