“Quando ero arrivato, vent'anni prima, non conoscevo nessuno. Avevo pochi soldi e un lavoro ridicolo, eppure nel giro di qualche settimana la città mi aveva già travolto con la sua disordinata generosità - era caotica, vitale, tremendamente cinica, dunque incapace di prendere sul serio anche la propria cattiveria. Se avevi un minimo di ambizione te la smontavano, se ti azzardavi a confessare che volevi fare strada nella vita, o addirittura sfondare, ti davano una pacca sulla spalla e cominciavano a deriderti. Dove credevi di essere? Roma esisteva da 2700 anni, ne aveva viste di tutti i colori, conteneva l'irripetibile concentrato di paralisi e artificio retorico della politica italiana, e in più ospitava l'epicentro della disillusione teocratica mondiale. Da queste parti la gente non era così ingenua da pensare che l'autoaffermazione, o peggio ancora la gloria, valessero qualcosa di per sé. A Roma conoscevi persone di tutti i tipi, ti mescolavi con altri corpi, se andava bene mettevi in tasca un po' di soldi, morivi, e il ponentino spazzava via anche le ceneri del tuo ricordo.”
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Nicola Lagioia,
La città dei vivi