Giulia > Giulia's Quotes

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  • #1
    Anthony Bourdain
    “your body is not a temple, it's an amusement park. Enjoy the ride.”
    Anthony Bourdain, Kitchen Confidential: Adventures in the Culinary Underbelly

  • #2
    Anthony Bourdain
    “Do we really want to travel in hermetically sealed popemobiles through the rural provinces of France, Mexico and the Far East, eating only in Hard Rock Cafes and McDonalds? Or do we want to eat without fear, tearing into the local stew, the humble taqueria's mystery meat, the sincerely offered gift of a lightly grilled fish head? I know what I want. I want it all. I want to try everything once.”
    Anthony Bourdain, Kitchen Confidential: Adventures in the Culinary Underbelly

  • #3
    Alessandro Robecchi
    “Non c'è niente di peggio di un trilocale a Rozzano che sogna di essere Versailles, per stringere il cuore.”
    Alessandro Robecchi, Di rabbia e di vento

  • #4
    Nicola Lagioia
    “L'impatto con il dolore riconsegna la maggior parte di noi a una sorta di innocenza originaria. A un certo punto non abbiamo più difese, né risorse, non c'è assolutamente nulla che possiamo fare per evitare il peggio, e così, insieme con le difese, crollano i privilegi, le strategie, l'appartenenza di classe, la retorica, lasciando intravedere la fragile nudità di specie che ci accomuna tutti.”
    Nicola Lagioia, La città dei vivi

  • #5
    Nicola Lagioia
    “Ci sono le città dei vivi, popolate da morti. E poi ci sono le città dei morti, le uniche dove la vita abbia ancora un senso.”
    Nicola Lagioia, La città dei vivi

  • #6
    Nicola Lagioia
    “¿Cuánto necesitamos reflexionar sobre lo que sabemos que no sabemos de las personas a las que amamos? Y, aunque fuera posible saberlo todo sobre ellos, ¿sería objetivo?”
    Nicola Lagioia, La ciudad de los vivos

  • #7
    Nicola Lagioia
    “Quando ero arrivato, vent'anni prima, non conoscevo nessuno. Avevo pochi soldi e un lavoro ridicolo, eppure nel giro di qualche settimana la città mi aveva già travolto con la sua disordinata generosità - era caotica, vitale, tremendamente cinica, dunque incapace di prendere sul serio anche la propria cattiveria. Se avevi un minimo di ambizione te la smontavano, se ti azzardavi a confessare che volevi fare strada nella vita, o addirittura sfondare, ti davano una pacca sulla spalla e cominciavano a deriderti. Dove credevi di essere? Roma esisteva da 2700 anni, ne aveva viste di tutti i colori, conteneva l'irripetibile concentrato di paralisi e artificio retorico della politica italiana, e in più ospitava l'epicentro della disillusione teocratica mondiale. Da queste parti la gente non era così ingenua da pensare che l'autoaffermazione, o peggio ancora la gloria, valessero qualcosa di per sé. A Roma conoscevi persone di tutti i tipi, ti mescolavi con altri corpi, se andava bene mettevi in tasca un po' di soldi, morivi, e il ponentino spazzava via anche le ceneri del tuo ricordo.”
    Nicola Lagioia, La città dei vivi

  • #8
    Nicola Lagioia
    “Riusciva a capire come ragionavano certi ragazzi di borgata. Conosceva i figli dei disoccupati, dei rapinatori, dei drogati. Chi cresceva in famiglie devastate, o in contesti dove miseria e violenza erano un tutt'uno, era palese in nome di cosa sfidava l'ordine costituito. In quei casi le forze dell'ordine sapevano come comportarsi, e prima ancora sapevano cosa pensare. È più facile contrastare un illecito quando è chiaro da cosa è spinto chi lo compie. Ma il motivo per cui dei ragazzi assolutamente normali, a cui non mancava niente sul piano materiale, sembravano vivere come autentici disperati - per le droghe che prendevano, per come non riuscivano a mettere a fuoco la propria stessa identità, per la preoccupazione parossistica che avevano del giudizio altrui, per l'uso irrispettoso che facevano dei propri corpi, per il rapporto che intrattenevano con il denaro, per come sembravano incuranti di sprecare interi periodi delle loro vite - lo lasciava in uno stato di assoluta perplessità.”
    Nicola Lagioia, La città dei vivi

  • #9
    Nicola Lagioia
    “Quando ad andarsene erano i sessantenni, accorrevano i colleghi di lavoro. I novantenni erano specializzati nel trascinarsi dietro interi paesi. Ma erano i trentenni la tragedia. I trentacinquenni, non di rado i quarantenni. Non c’erano colleghi di lavoro perché spesso non c’era un lavoro. E quando il lavoro c’era, i colleghi erano troppo impegnati nella lotta per la sopravvivenza. Gli amici – quelli veri, quelli che un tempo lo erano stati – erano lontani, persi nelle città del Nord, dentro i pantani delle loro vite. Forse la notizia era arrivata anche a loro, e il cordoglio (da centinaia, forse migliaia di chilometri) provocava minuscole torsioni nelle fiamme delle candele elettriche. Così in quei casi il corpo restava alla mercé della famiglia. Col risultato (la beffa, pensò il sacerdote preparandosi alla comunione) che a gestirlo erano coloro contro cui il morto doveva aver lottato per emanciparsi quando era in vita – madri e padri e nonni e zie dei quali non sopportava neanche più la dentatura deformata attraverso il vetro del bicchiere da cui bevevano.”
    Nicola Lagioia, La ferocia



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