

“…how it would be nice if, for every sea waiting for us, there would be a river, for us.
And someone -a father, a lover, someone- able to take us by the hand and find that river -imagine it, invent it- and put us on its stream, with the lightness of one only word, goodbye. This, really, would be wonderful. It would be sweet, life, every life. And things wouldn’t hurt, but they would get near taken by stream, one could first shave and then touch them and only finally be touched. Be wounded, also. Die because of them. Doesn’t matter. But everything would be, finally, human. It would be enough someone’s fancy -a father, a lover, someone- could invent a way, here in the middle of the silence, in this land which don’t wanna talk. Clement way, and beautiful.
A way from here to the sea.”
― Ocean Sea
And someone -a father, a lover, someone- able to take us by the hand and find that river -imagine it, invent it- and put us on its stream, with the lightness of one only word, goodbye. This, really, would be wonderful. It would be sweet, life, every life. And things wouldn’t hurt, but they would get near taken by stream, one could first shave and then touch them and only finally be touched. Be wounded, also. Die because of them. Doesn’t matter. But everything would be, finally, human. It would be enough someone’s fancy -a father, a lover, someone- could invent a way, here in the middle of the silence, in this land which don’t wanna talk. Clement way, and beautiful.
A way from here to the sea.”
― Ocean Sea

“Volevo dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c'è, tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita quella non voglio perdermela, io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio.”
―
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“Cos'è l'odio, veramente, l'ho capito su queste assi insanguinate, con l'acqua del mare addosso a imputridire le ferite. E cos'è la pietà, non lo sapevo prima di aver visto le nostre mani di assassini accarezzare per ore i capelli di un compagno che non riusciva a morire. Ho visto la ferocia, nei moribondi spinti a calci giù dalla zattera, ho visto la dolcezza, negli occhi di Gilbert che baciava il suo piccolo Léon, ho visto l'intelligenza, nei gesti con cui Savigny ricamava il suo massacro, e ho visto la follia, in quei due uomini che una mattina hanno spalancato le ali e se ne sono volati via, nel cielo. Dovessi vivere ancora mille anni, amore sarebbe il nome del peso lieve di Thérèse, tra le mie braccia, prima di scivolare tra le onde. E destino sarebbe il nome di questo oceano mare, infinito e bello.”
―
―

“C'è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità.”
― Castelli di rabbia
― Castelli di rabbia

“Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… /
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /
E il rumore /
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /
Col mio cappello blu /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo /
Non è quel che vidi che mi fermò /
È quel che non vidi /
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /
C’era tutto /
Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /
Se quella tastiera è infinita, allora /
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /
Cristo, ma le vedevi le strade? /
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /
A scegliere una donna /
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /
Tutto quel mondo /
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /
E quanto ce n’è /
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.”
― Novecento. Un monologo
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /
E il rumore /
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /
Col mio cappello blu /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo /
Non è quel che vidi che mi fermò /
È quel che non vidi /
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /
C’era tutto /
Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /
Se quella tastiera è infinita, allora /
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /
Cristo, ma le vedevi le strade? /
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /
A scegliere una donna /
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /
Tutto quel mondo /
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /
E quanto ce n’è /
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.”
― Novecento. Un monologo
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